Regeni, la lettera anonima che inchioda l’Egitto | “Fu il generale Shalabi a volerlo torturare a morte”

di Fabrizio Messina

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Regeni, la lettera anonima che inchioda l’Egitto | “Fu il generale Shalabi a volerlo torturare a morte”

| mercoledì 06 Aprile 2016 - 07:56

Una lettera anonima inviata al quotidiano “la Repubblica” getta nuova luce sull’omicidio di Giulio Regeni ed incastra ancora una volta l’Egitto. Il presunto membro della polizia segreta egiziana, nonché autore della lettera, ha accusato i vertici egiziani per la morte di Giulio Regeni.

Le missive, che svelano tre dettagli delle torture inflitte al ricercatore italiano mai resi pubblici e conosciuti solo dagli inquirenti italiani, sono state acquisite dalla Procura di Roma all’indomani del vertice tra investigatori italiani ed egiziani.

Secondo l’autore delle mail, “l’ordine di sequestrare Giulio Regeni è stato impartito dal generale Khaled Shalabi, capo della Polizia criminale e del Dipartimento investigativo di Giza. Fu Shalabi, prima del sequestro, a mettere sotto controllo la casa e i movimenti di Regeni e a chiedere di perquisire il suo appartamento insieme ad ufficiali della Sicurezza nazionale. Fu Shalabi, il 25 gennaio, subito dopo il sequestro, a trattenere Regeni nella sede del distretto di sicurezza di Giza per 24 ore”.

Anche secondo fonti de La Stampa da il Cairo, l’Egitto intende “sacrificare” il generale (già condannato nel 2003 da un tribunale di Alessandria per aver torturato a morte un uomo e falsificato i rapporti della polizia, ma reintegrato dopo la sospensione della sentenza) nel nome dei buoni rapporti con l’Italia.

Nella caserma di Giza, secondo i racconti “Giulio viene privato del cellulare e dei documenti e, di fronte al rifiuto di rispondere ad alcuna domanda in assenza di un traduttore e di un rappresentante dell’Ambasciata italiana”, viene picchiato una prima volta. Chi lo interroga “vuole conoscere la rete dei suoi contatti con i leader dei lavoratori egiziani e quali iniziative stessero preparando”.

Tra il 26 e il 27 gennaio “per ordine del ministro dell’Interno Magdy Abdel Ghaffar“, Regeni viene trasferito “in una sede della Sicurezza nazionale a Nasr City”. Dopo tre giorni di torture che riescono a sopraffarlo, il ministro dell’Interno decide di investire della questione “il consigliere del presidente, il generale Ahmad Jamal ad-Din, che, informato Al Sisi, dispone l’ordine di trasferimento dello studente in una sede dei Servizi segreti militari a Nasr City perché venga interrogato da loro”.

A quel punto seguirono torture sempre più violente fino alla morte del giovane ricercatore. Giulio allora “viene messo in una cella frigorifera dell’ospedale militare di Kobri al Qubba, sotto stretta sorveglianza e in attesa che si decida che farne. La decisione viene presa in una riunione tra Al Sisi, il ministro dell’Interno, i capi dei due servizi segreti, il capo di gabinetto della Presidenza e la consigliera per la Sicurezza nazionale Fayza Abu al Naja“.

“Nella riunione venne deciso di far apparire la questione come un reato a scopo di rapina a sfondo omosessuale e di gettare il corpo sul ciglio di una strada denudandone la parte inferiore. Il corpo fu quindi trasferito di notte dall’ospedale militare di Kobri a bordo di un’ambulanza scortata dai Servizi segreti e lasciato lungo la strada Cairo-Alessandria”, conclude la mail.

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