L’ebola e l’allarme inascoltato di Medici Senza Frontiere

di Giuseppe Citrolo

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L’ebola e l’allarme inascoltato di Medici Senza Frontiere

| martedì 05 Giugno 2018 - 10:46

Nel marzo del 2014 i coraggiosi dottori di Medecins Sans Frontieres (MSF) lanciarono un grido di allarme. Stavano combattendo per contenere un’epidemia di Ebola in Guinea, uno stato dell’Africa occidentale poverissimo e violento. Il virus dell’Ebola causa una malattia terrificante:febbre altissima seguita da massicce emorragie interne.

È contagioso, attraverso i fluidi corporei, e frequentemente fatale. Purtroppo pero’ nessuno si preoccupo’ molto dei richiami di Medecins Sans Frontieres, e così al giugno 2014, l’epidemia si era espansa a 60 località in tre paesi. Non fu fino all’agosto di quell’anno che l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò l’esistenza di un’emergenza sanitaria internazionale. Questo ritardo permise ad Ebola di diffondersi senza controllo, arrivando a uccidere 11.000 persone in sei paesi e lasciando 17.000 bambini privi di uno o entrambi i genitori. Solo al picco dell’epidemia, il mondo cominciò ad occuparsene. Alcuni governi entrarono nel panico,imponendo divieti di volo su tutti i viaggiatori provenienti dai paesi colpiti. Ciò spinse molti africani a muoversi via terra, rendendoli più difficili da rintracciare. Le autorità sanitarie globali promisero allora di imparare da questa gestione catastrofica. Una nuova epidemia di Ebola, questa volta nella Repubblica Democratica Del Congo, rivelerà se lo hanno fatto veramente.

Nel 2014 si perse troppo tempo

Per ora, i segnali sono positivi. Il grande errore del 2014 fu la perdita di tempo; contenere un’epidemia nelle sue fasi iniziali è più facile, è meno caro e salva molte vite. Questa volta squadre di medici ed infermieri sono state immediatamente trasportate sul posto, la città congolese di Mbandaka (1 milione di abitanti) situata sulle rive del fiume Congo. Medicine, tute e maschere protettive sono state distribuite con rapidità. Gli infermieri locali hanno velocemente cominciato a rintracciare coloro che sono stati in contatto con i malati di Ebola. I vicini del Congo sono in stato di allerta. Sono state organizzate delle zone di isolamento e dei centri medici da campo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha distribuito denaro proveniente da un fondo di emergenza. Il Canada, la Germania, l’Unione Europea, gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno promesso ulteriori aiuti economici. Per fortuna anche la tecnologia è migliorata rispetto al 2014. Non soltanto c’e’ un test diagnostico più rapido, ma ci sono anche ampie scorte di un vaccino che funziona. Migliaia di dosi stanno venendo distribuite in una strategia ‘a cerchio’, per immunizzare coloro che sono stati in contatto con persone colpite dall’Ebola. Non è ancora chiaro quanto questa vaccinazione a cerchio potrà contenere le prime fasi dell’epidemia, caratterizzate da ‘catene di contagio’ meno certe. Inoltre il vaccino è anche difficile da gestire, perchè va mantenuto alla bassissima temperatura di -80 gradi centigradi. Malgrado una prima risposta nel complesso migliore rispetto al 2014, contenere quest’epidemia di Ebola del 2018 non sarà dunque per niente facile. La Repubblica Democratica Del Congo è un paese pericoloso, caotico e governato malissimo. Organizzarvi qualcosa in maniera efficiente è impresa quasi disperata. Il virus potrebbe diffondersi lungo il fiume Congo, principale arteria di trasporto e commerciale del paese. Considerato tutto ciò, e senza dunque crearsi false speranze su un immediato contenimento dell’epidemia, bisogna comunque dire che il mondo è molto più attrezzato rispetto a quattro anni fa. La battaglia per evitare un’ennesima tragedia sanitaria nel cuore dell’Africa è cominciata. Ci sono buone probabilità che stavolta sarà vinta.

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