Corte d’Appello di Palermo: un “like” a un post non è istigazione al terrorismo

di Rosanna Pasta

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Corte d’Appello di Palermo: un “like” a un post non è istigazione al terrorismo

| mercoledì 06 Giugno 2018 - 09:45

Un “like” ad un post o ad un’opinione altrui non è reato, è semplicemente la manifestazione di assenso e non ne aumenta la pericolosità, anche se il contenuto è riprovevole. Su queste basi la Corte d’Assise d’Appello di Palermo ha assolto, lo scorso dicembre, Khadiga Shabbi, la ricercatrice universitaria libica accusata di istigazione al terrorismo. La donna, arrestata e condannata a un anno e otto mesi dal gup, è stata completamente scagionata in secondo grado.

Corte d’Appello: un “like” a un post non è istigazione al terrorismo

I giudici non confermano il primo verdetto e accusano i colleghi di essersi limitati a copiare l’informativa della Digos, che indagò, senza un intervento critico. Nella motivazione della sentenza che scagiona Shabbi si legge la formula “perché il fatto non sussiste”. Secondo i giudici, infatti, la donna fa parte dei tanti utenti anonimi del web che non hanno alcuna autorevolezza per indurre qualcuno all’emulazione, pertanto dalle sue esternazioni non scaturiva alcun pericolo di commissione di reati terroristici.

Shabbi era stata accusata di propaganda sui social al favore della causa jihadista, ma per la corte la sua intenzione era solo quella di esprimere opinioni generiche. Lo stesso anche quando, dopo la morte di un nipote in battaglia, chiedeva vendetta, una vendetta generica da una persona non collegata ad alcuna organizzazione terroristica a combattenti, cioè persone già impegnate in un conflitto.

Il legale di Shabbi, l’avvocato Michele Andreano, ha intenzione di andare avanti. “Finalmente la pacatezza, la serenità e l’applicazione del diritto hanno trionfato sulla suggestione, i castelli di carta e le presunzioni senza prove”, aveva detto, poi ha aggiunto: “Al momento debito chiederemo il risarcimento dei danni al Viminale per l’ingiusta permanenza nel Cie di Ponte Galeria inflitta alla nostra assistita e allo Stato per l’ingiusta carcerazione subita”.

L’inchiesta sulla ricercatrice libica era partita da alcune segnalazioni. La polizia cominciò le indagini dal web, in cui si registrava una intensa attività di propaganda a favore di organizzazioni terroristiche islamiche come Ansar Al Sharia Libya, tra le maggiori oppositrici del governo di Tobruk e del suo leader Ben Hamid Wissam. Shabbi era molto interessata alla vicende politiche del suo paese e sembra che avesse visitato diverse pagine Facebook di gruppi legati all’estremismo islamico, nonché condiviso materiale di propaganda di organizzazioni terroristiche sul suo profilo Facebook.

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