No violenza sulle donne: l’educazione parte da scuola e famiglia

di Tignitè

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No violenza sulle donne: l’educazione parte da scuola e famiglia

| lunedì 26 Novembre 2018 - 11:31

Ha avuto luogo l’ennesima, tristissima, commemorazione delle donne vittime di violenza sessuale o domestica, in data 25 novembre, istituita nel dicembre del 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, data scelta in ricordo delle torture subite e della uccisione delle sorelle Mirabal a Santo Domingo nel 1960 ad opera del regime dittatoriale esistente.

In tutto il mondo eventi e cortei di migliaia di persone ancora una volta hanno continuato quest’opera di sensibilizzazione che, seppure importantissima, appare ancora dagli esiti non rilevanti. La triste contabilità dei femminicidi evidenzia un fenomeno che non và mai in crisi: in Italia dal 2000 al 2017 le donne uccise da fidanzati, mariti o compagni sono state 3,200, quasi gli abitanti di un paese. E secondo i dati Eures soltanto nei primi mesi di quest’anno le vittime sono già 107.

Una ricerca dell’Istat evidenzia che quest’anno si sono rivolte ai centri di assistenza 490 mila donne che rappresentano soltanto il 5% di quelle ritenute realmente violentate e che sono ancora molte le donne vittime di violenza domestica o sessuale a non riconoscere che “l’atto violento posto in essere dal partner costituisce un reato“.

Test psicologici rilevano, infatti, che molte di esse non denunciano perché anche vittime del proprio convincimento ancestrale e culturale di dovere presidiare, anteponendola anche a se stesse e ad ogni costo, la conservazione del nucleo familiare: questo spiegherebbe perché ancora oggi molte donne dicono addirittura di vergognarsi nel denunciare le violenze che subiscono, quasi attribuendosi la responsabilità di non essere “ abbastanza moglie” o “ abbastanza madre”. Ciò le porterebbe a giustificare le violenze come “meritate” a fronte di un irrazionale e vergognoso senso di colpa.

Bisogna decidersi, oggi più che mai, a raccontare la propria condizione e la propria sofferenza a persone consapevoli e preparate: fondamentale è la presenza di operatori formati ed esperti che sappiano anche fornire indicazioni tecniche appropriate, come del resto anche lo stesso avvocato, che deve essere non soltanto specializzato ma preparato a svolgere il ruolo di osservatore attento delle attività compiute dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero soprattutto nella fase delle indagini.

Le regole e le leggi che dovrebbero contrastare questi crimini, ci sono. Il problema è che non sempre vengono applicate con la necessaria competenza né con quella tempestività che sarebbe indispensabile: di “timidezza interpretativa” parla Fabio Roja, magistrato dal 1986, già sostituto procuratore a Milano addetto al dipartimento “fasce deboli”, ex componente del Csm , da sempre attivo sul tema ed autore del libro “Crimini contro le donne”: ” Malgrado una apprezzabile normativa italiana a tutela della donna vittima di violenza, operatori giudiziari, polizia, avvocati e perfino magistrati non sempre applicano con la necessaria precisione ed efficacia le norme processuali esistenti – dice – e troppe volte il processo viene fatto alla vittima e non al colpevole“.

La dottoressa Alessandra Kustermann, responsabile alla Clinica Mangiagalli di Milano del Soccorso Violenza Sessuale, rileva come per l’inadeguatezza della norma l’arresto per questo tipo di reato si sia rivelato molto difficile, essendo previsto soltanto in flagranza, cioè soltanto nel momento in cui la vittima è colpita: sostiene pertanto la necessità di configurare il reato per la sua continuità, proponendo per questo la creazione di un “cervellone” elettronico per la raccolta delle denunce contro lo stesso soggetto anche se fatte in luoghi differenti: “In questo modo – dice la Kustermann – si potrebbe perseguire il reato configurato nella sua ripetitività ripercorrendo la storia del soggetto; perché nell’85% dei casi gli autori sono recidivi”.

Se è possibile che la violenza contro le donne può essere repressa nei tribunali, essa però può essere sconfitta soltanto con un continuo e profondo percorso culturale che deve iniziare già da bambini nelle aule scolastiche ed in famiglia. Nelle aule scolastiche, luogo principe cui è demandata la formazione del buon cittadino, con l’insegnamento al rispetto (soprattutto delle donne). Bisogna insegnar che la violenza non può essere intesa quale forma espressiva caratteriale o della personalità, ma piuttosto come forma di debolezza soggettiva e limite da non dovere mai superare.

Importante che al processo culturale non sia assente la famiglia. È estremamente importante che il contesto familiare riconosca ed eserciti responsabilmente il proprio ruolo fondamentale sia sul piano educativo che su quello esemplare, non tralasciando l’insegnamento al riconoscimento dei generici limiti imposti dal dovuto rispetto del contesto sociale circostante.

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