Di Maio il populista. Il 15 febbraio parte la campagna elettorale del M5S?

di Stanislao Lauricina

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Di Maio il populista. Il 15 febbraio parte la campagna elettorale del M5S?

| giovedì 06 Febbraio 2020 - 11:22

Luigi Di Maio torna a parlare sui social e torna a assumere toni da leader del Movimento 5 Stelle per promuovere la manifestazione di piazza, il prossimo 15 febbraio, a Roma contro quello che denuncia come il tentativo di reintrodurre, anzi di “riprendersi” i vitalizi per gli ex parlamentari, aboliti nell’ottobre 2018.

Ma il vicepremier ed ex capo politico dei pentastellati denuncia anche una presunta volontà di cancellare le leggi volute dai grillini in questi anni e attacca anche i tentativi di contrastare la riforma della prescrizione che vedono in prima fila Matteo Renzi, uno che dovrebbe essere alleato di governo del M5S.

Di Maio il populista. Il 15 febbraio parte la campagna elettorale del M5S?

Il casus belli è la questione dei 700 parlamentari ed ex parlamentari che hanno presentato ricorso contro l’abolizione dei vitalizi sarà affrontata dalla Commissione Contenziosa del Senato e dal Consiglio di giurisdizione della Camera, come organo giurisdizionale di primo grado. Di Maio si scaglia contro la “Contenziosa”, in Senato, guidata dal 10 ottobre 2018 dal forzista Giacomo Caliendo, ma formata anche da Simone Pillon, del gruppo Lega-Salvini Premier-Partito Sardo d’Azione, e dalla grillina Alessandra Riccardi. Quindi, in mano all’opposizione. Per questo, il movimento ne aveva chiesto lo scioglimento, senza ottenerlo. Ora Di Maio rivanga il conflitto di interessi che coinvolge Caliendo, uno dei ricorrenti contro i tagli dei vitalizi, per sostenere che l’esito del voto è già scritto. Caliendo, però, ha annunciato l’astensione sul voto in commissione.

Per Di Maio, però, il presunto ritorno dei vitalizi è soltanto la prima pietra smossa “dal sistema” per far crollare il piccolo castello di riforme volute dai grillini. Perciò, si scaglia contro chi attacca la riforma della legge sulla prescrizione e contro chi sta promuovendo un referendum per l’abolizione del reddito di cittadinanza. “Sappiamo che il sistema proverà in tutti i modi a cancellare le leggi che abbiamo fatto in un anno e mezzo di governo. Quando è così c’è soltanto una risposta e quella risposta è il popolo di italiano che deve scendere in piazza a manifestare pacificamente contro questo osceno atto di restaurazione che inizia coi vitalizi, ma vorranno cancellare tutte le leggi che abbiamo fatto”.

Un intervento curioso, se vogliamo, perché si presta a domande e perplessità. Intanto, perché evidenzia un vuoto di leadership nel movimento, guidato adesso da Vito Crimi, che l’attuale ministro degli esteri prova a colmare, tentando allo stesso tempo di resuscitare l’anima militante e protestataria del grillismo, messa in naftalina in questi anni in cui il movimento è stato al governo.

Di Maio torna a usare termini e modi più adeguati a un frasario da opposizione, attacca “il sistema”, mentre in filigrana potremmo leggere “la casta”, critica una classe politica, parlamentare, che vuol perpetuare i suoi privilegi. Un salto indietro di tre anni.

Francamente, è un vestito che appare ormai sformato addosso al pur elegantissimo Di Maio. Il ritorno alla piazza appare un tardivo tentativo di ricompattare le fila di un elettorato ormai in libera uscita in un’emorragia che pare inarrestabile e causata proprio da quello che è stato visto come uno snaturamento dei grillini negli anni e nelle scelte di governo, oltre che delle alleanza. E’ credibile, a questo punto, Di Maio, che toglie la cravatta per tornare a indossare i vestiti del contestatore? E perché è lui e non Crimi a chiamare l’adunata? Probabilmente, perché il vicepresidente del consiglio appare ancora come l’unico credibile e apprezzato nelle vesti di capo politico del movimento.

Così, Luigi Di Maio, si riscopre “populista”, chiama a raccolta la piazza, quasi fosse una sorta di prova generale in vista di una nuova, prossima chissà?, campagna elettorale. Del resto, il monito del presidente della Repubblica Mattarella, secondo il quale oltre questa non ci saranno altre maggioranze nella legislatura in corso, sono chiare. E siccome i rapporti nella coalizione sono quelli che sono, pronosticare un ritorno al voto non sembra più un’eresia.
Altrimenti, non si spiega. Una stranezza mai vista, quella di un partito di governo, di una forza che ha ancora la maggioranza relativa, che è l’azionista di riferimento della coalizione che guida il parlamento, che invece di usare i numeri nelle due camere, invoca la voce della piazza. Funziona così, in una democrazia? Non proprio.

Dovrebbe funzionare col lavoro politico in parlamento, coi numeri maturati nelle aule attraverso il voto, non con gli schiamazzi delle piazze convocate da una parte. Sono i limiti di una coalizione di maggioranza che Di Maio denuncia chiaramente, quando dice: “Non si può governare un paese pensando a come abolire le leggi del Movimento 5 Stelle. Invece io vedo che non si dà respiro a una legge approvata per poi cambiarla di nuovo. Si dice ai cittadini che si devono cambiare le leggi perché le ha volute il Movimento 5 stelle”.

Un atto di accusa agli alleati che, per Di Maio, non marcerebbero al fianco dei grillini, ma provano a mettere i bastoni tra le ruote alla maggioranza di cui fanno parte. Ma sono anche i limiti di un movimento che non  ha ancora capito cosa vuol fare da grande. La formula del movimento di lotta e di governo non funziona, non porta da nessuna parte.

Il problema, quindi, va oltre la questione dei vitalizi, riguarda la prospettiva politica, riguarda un parlamento che ormai Di Maio vede come ostile. Basta con gli equivoci, coi giochetti retorici e propagandistici. Sia coerente, allora, e ne chieda lo scioglimento per il ritorno alle urne. Del resto, la manifestazione del 15 febbraio sa di inizio di campagna elettorale.

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