ROMA, 2 SETTEMBRE 2013 – Con la netta presa di posizione di Barack Obama, supportata dalle dichiarazioni pungenti del segretario di Stato americano John Kerry, che si è prontamente affrettato a dipingere Bashar al Assad come un dittatore alla stregua di Hitler, quella di un attacco imminente alla Siria non è più soltanto un’ipotesi.
Ma mentre da Washington fanno sapere di avere le prove che attribuiscono, senza possibilità di dubbio, al governo siriano la paternità degli attacchi con armi chimiche che hanno sconvolto l’opinione pubblica mondiale lo scorso 26 agosto, da Mosca storcono il naso.
Al Cremlino, infatti, non sono per nulla convinti dell’attendibilità delle prove presentate dagli Stati Uniti, tanto che il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, si è lamentato dell’eccessiva sommarietà di quanto mostrato dalle autorità americane, “senza alcun riferimento geografico o nomi”. Il timore, da parte della Russia, che pur condanna l’uso delle armi chimiche, è che gli Stati uniti abbiano sistematicamente ignorato il parere di quegli esperti che non hanno perorato la teoria dell’attacco operato dagli uomini di Assad.
Troppo poche, tuttavia, queste esternazioni per fermare le truppe a stelle e strisce o per tornare a far parlare di una rinnovata guerra fredda, ma abbastanza per animare i banchi del prossimo G20 in programma proprio a San Pietroburgo del cinque e sei settembre, dove la questione siriana rischia, a questo punto, di monopolizzare l’attenzione dei grandi della Terra.