I carabinieri hanno eseguito tra Messina, Roma e Milano 20 ordinanze di custodia cautelare (di cui 18 in carcere e 2 ai domiciliari) nei confronti di altrettante persone accusate a vario titolo di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, usura ed estorsione.
Le indagini hanno consentito di scoprire l’esistenza di una presunta organizzazione accusata di spacciare cocaina e marijuana e di portare alla luce diverse attività di usura ed estorsione, condotte secondo le indagini da parte di tre degli arrestati, nei confronti di persone costrette a restituire le somme ottenute in prestito con interessi che potevano arrivare anche al 300%.
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Tutto ha avuto inizio nel gennaio del 2011, a seguito della denuncia presentata ai carabinieri da parte dei genitori di uno dei ragazzi coinvolti nelle attività di spaccio, preoccupati per il fatto che il figlio stesse diventando sempre più ribelle, quasi violento nel chiedere continuamente soldi, fino ad arrivare a far sparire da casa alcuni oggetti preziosi.
Da questa segnalazione è partita una rete di intercettazioni telefoniche che in breve si è allargata a 40 utenze. Una svolta decisiva, grazie alla quale si è quasi subito palesata l’intera composizione dell’associazione, si è verificata alla fine del mese di gennaio 2011 quando, all’arresto in flagranza di un messinese classe 1982, operato dal Nucleo Operativo della Compagnia di Messina Sud per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, è seguito un periodo di grande agitazione di Antonino Tavilla, che in quei giorni si trovava a Milano, il quale ha ripetutamente ed insistentemente chiamato tutti i “complici” per cercare di capire la quantità di marijuana sequestrata dai carabinieri, probabilmente preoccupandosi per l’impatto che tale incidente avrebbe avuto sul suo volume di affari. Durante queste telefonate, il giovane ha inoltre più volte manifestato il timore di poter venire coinvolto in prima persona nella vicenda.
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Da questo momento i giovani trafficanti hanno iniziato a sentire addosso una crescente pressione, diventando con il tempo sempre più sospettosi ed attenti nelle modalità di approvvigionamento e distribuzione di cocaina e marijuana. Nella convinzione che questo consentisse loro di mantenere una sorta di anonimato, tutti gli associati hanno iniziato ad appellarsi tra di loro, per telefono, utilizzando dei nomignoli, tra cui anche i nomi di alcuni dei Sette Nani della favola di Biancaneve (da qui, oltre al riferimento alle sostanze trafficate, il nome in codice dell’operazione).
Rientrato da Milano, avvertendo probabilmente la necessità di una base strategica che funzionasse da punto di riferimento per i clienti, Tavilla ha preso in gestione una sala-giochi della costiera ionica, che si è subito rivelata un’attività di copertura per i veri interessi del trafficante ed attorno alla quale, durante le indagini, sono state documentate numerose attività illecite.
Tavilla, “capo” dell’organizzazione, era solito prendere contatti ed accordi per i vari scambi, che poi raramente effettuava di persona, preferendo ordinare ai tanti associati di minor peso il materiale prelevamento (dai fornitori) o la consegna (ai consumatori) dei quantitativi di stupefacenti di volta in volta concordati. In questo modo, il personaggio che in realtà aveva un ruolo centrale in tutte le cessioni, non si muoveva mai con grossi quantitativi di droga. Altra accortezza utilizzata, consisteva nel fatto di cambiare spesso scheda telefonica e di spostarsi frequentemente da Messina, continuando a controllare a mezzo telefono la distribuzione di stupefacenti, con specifici e perentori ordini impartiti agli altri componenti dell’associazione.
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Infine – e questo è forse il dato più allarmante che emerge dall’intero fenomeno – Tavilla aveva scelto i suoi affiliati secondo caratteristiche ben precise: erano quasi tutti ragazzi molto giovani, incensurati e di buona famiglia. Insomma, insospettabili. Ed ingenui, al punto di prendersi al posto suo dei rischi delle quali conseguenze, forse, non si rendevano conto fino in fondo.
Le indagini hanno inoltre consentito di portare alla luce diverse attività criminose di usura ed estorsione, condotte in più occasioni da Antonio e Nicola Tavilla e Giuseppe Mazzù, nei confronti di soggetti che venivano costretti, anche con pesanti minacce, a restituire le somme ottenute in prestito con interessi che potevano arrivare anche al 300%.
È stato stimato che i proventi dell’associazione disarticolata con questa operazione, ammontassero ad una cifra media di 500 euro al giorno, per un volume di circa 100.000 euro nell’arco temporale preso in esame.