Negli States sono una famiglia, ma in Italia? | La Procura dice no a due mamme lesbiche

di Maria Teresa Camarda

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Negli States sono una famiglia, ma in Italia? | La Procura dice no a due mamme lesbiche

| giovedì 16 Ottobre 2014 - 11:39

L’assenza in Italia di una legge che regolamenti le coppie omosessuali, sposate o di fatto, sta creando non pochi problemi a una coppia di donne che negli Stati Uniti sono sposate da un anno, ma che in precedenza erano legate da una domestic partnership, un’unione civile.

Le due donne sono diventate entrambe madri negli States con la fecondazione eterologa da donatore anonimo. Poco dopo le nascite di una bimba e di un bimbo, ciascuna ha ottenuto l’adozione del figlio dell’altra, con sentenze di tribunali americani che hanno attribuito ad entrambe le madri le responsabilità genitoriali.

Nonostante la libertà di cui godevano in America, l’anno scorso a una di loro, insegnante universitaria, è stata attestata la cittadinanza italiana per discendenza: ha preso quindi la residenza a Bologna dove il nucleo si è trasferito e ora chiede al tribunale dei Minori dell’Emilia-Romagna che venga riconosciuta anche in Italia l’adozione della figlia della moglie, come sancita dal Tribunale statunitense.

L’istruttoria al tribunale dei Minori si è conclusa e si sta attendendo la decisione del collegio dei giudici, ma è stato depositato il parere negativo della Procura, dove si sottolinea come un accoglimento sarebbe contrario alla legge italiana.

La donna e il bambino che ha partorito hanno la cittadinanza italiana,  l’altra madre e la figlia godono di permesso di soggiorno europeo concesso nel 2013 dalla questura di Bologna per ragioni familiari, in virtù dell’accertamento di un valido nucleo familiare costituito all’estero. Ma in Italia i legami legali tra i quattro rischiano di interrompersi.

L’avvocato delle due donne, Claudio Pezzi, ha presentato un ricorso che – richiamandosi ai principi della Convenzione di Strasburgo sui diritti umani e alla giurisprudenza europea formatasi attorno ad essi – sottolinea come la domanda di adozioni sia stata “espressa anche nell’interesse della minore e si fonda sull’esigenza di tutelare il diritto alla vita familiare della bambina, che dalla nascita vive una situazione caratterizzata dalla stabilità di relazioni affettive familiari in un rapporto di filiazione con entrambe le madri (la madre biologica e la madre adottiva) e nella relazione con il fratello, di pochi mesi più giovane”.

Inoltre, la bambina, nel caso di rigetto della domanda di adozione, si vedrebbe privata del diritto di cittadinanza italiana e europea che le deriva quale figlia di cittadina italiana, “con tutto ciò che ne consegue sotto il profilo anche culturale e sociale, nonché giuridico”, con riferimento ad esempio all’opportunità futura di studiare e lavorare in Europa, “peraltro creando un’incomprensibile discriminazione con il fratello”.

In fondo, la domanda non è altro che la richiesta di una “step parent adoption” o “second parent adoption”, essendo in vita il genitore biologico del minore, il quale ha prestato il consenso nella procedura di adozione all’estero e lo ha riformulato nel ricorso italiano. Una richiesta già accettata una prima volta in Italia proprio all’interno di una coppia di donne omosessuali.

Tutti gli italiani che credono nel rispetto dei diritti degli omosessuali attendono il giudizio del Tribunale di Bologna, sperando che la famiglia – perché di famiglia si tratta – non venga distrutta dall’incapacità di un Paese di dotarsi di strumenti di riconoscimento e rispetto di tutte le persone.

“Caro Renzi, cari tutti: i diritti non si concedono. I diritti umani – scrive Daniela Tomasino, ex presidente di Arcigay Palermo, su Facebook – sono inalienabili e universali. Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.

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