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La Spagna e l’indipendentismo della Catalogna | Quante contraddizioni dal voto delle regionali

Il governatore della regione Catalana e leader indipendentista, Artur Mas, dovrà comparire il 15 ottobre davanti alla Corte Costituzionale spagnola per rispondere dell’imputazione di ‘disobbedienza’, a causa della consultazione popolare simbolica del novembre 2014 sull’indipendenza dalla Spagna. La consultazione, con l’80% di sì, era stato un grande successo politico per Junts Pel Si, il partito di Mas. Ma si trattava di un escamotage per aggirare la bocciatura da parte della Corte Costituzionale di un formale referendum independentista, promosso dal Parlamento catalano. “Una contestazione politica, non legale”, ha commentato Mas”, la reazione di uno stato arrogante, furioso, colpito nell’orgoglio, incapace di dialogo e che tenterà di tutto per farmi fuori”.

È il momento più recente della lunga vicenda dell’indipendentismo catalano, che affonda le sue radici nella storia, con fasi alterne di forte sentimento unitario del popolo catalano e conflitti sociali. L’indipendentismo rinasce politicamente dopo la dura repressione nel periodo franchista, con formazioni regionali d’ispirazione liberale, comunista ed anarchica. Il ‘Patto Taradellas’, dal nome del leader catalano liberale che lo sigla nel 1977 alla Moncloa sotto l’egida del Re Juan Carlos, segna il ritorno dell’autonomia di Barcellona nell’alveo costituzionale di una Spagna indivisibile. Il ‘pacto’ tiene sino al 2006, anno in cui un referendum popolare conferma il diritto di auto–determinazione della Catalogna, votato dalla Generalitat catalana.

Nel 2010, la Corte Costituzionale spagnola ne dichiara l’illegittimità, inasprendo i sentimenti indipendentisti sino alla grande manifestazione dell’11 settembre 2012 che porta in piazza più di un milione di persone. Non è estraneo alla nuova conflittualità il sentimento di sfiducia nei confronti di Madrid e della sua politica in Europa, in anni di recessione economica: eventi come il rifiuto di Rajoy di ridiscutere gli accordi fiscali con il governo regionale di Barcellona, non contribuiscono certo a ridare serenità ai rapporti tra le due istituzioni. Nel settembre del 2014, il Parlamento di Barcellona approva una norma che dà copertura legale al referendum independentista, dando così avvio alla vicenda che porta all’imputazione di Mas.

Intanto, le elezioni regionali in Catalogna del 27 settembre 2015, salutate come una grande vittoria da parte di movimenti indipendentisti, hanno in realtà dato un risultato contraddittorio e sono in sostanza una sconfitta per il leader catalano. Da un lato infatti, per la prima volta nella storia della Spagna democratica, una maggioranza di deputati indipendentisti siederà al parlamento catalano. Dall’altro, però, la somma dei voti ottenuti dai raggruppamenti indipendentisti non raggiunge il 50% dell’elettorato, ponendo così seri dubbi sulla reale tenuta della maggioranza popolare nel caso ipotetico di un referendum sulla separazione da Madrid.

Oltretutto, i due partiti che aspirano all’indipendenza hanno poco in comune oltre questo: ai 62 seggi del partito conservatore Junts Pel Si di Artur Mas – che ne ha persi 9 – si affiancano i 10 seggi di Cup, che ha riportato un grande risultato ma è una formazione di estrema sinistra; il suo programma economico ricorda Varoufakis e le iniziali posizioni antieuropeiste di Siriza.

Il partito di Mas, – pure in forte difficoltà – tira dritto su una road map che in 18 mesi dovrebbe portare alla separazione. Dal canto suo Antonio Banos, leader del Cup, ha rimarcato la netta distanza dal leader di Junts Pel Si. ”Il processo verso l’indipendenza è imprescindibile, mentre le persone e anche il signor Mas, sono prescindibili”, ha detto. Sembra difficile che i due riescano a mettersi d’accordo sul programma di governo, sul nome del nuovo presidente, sulla stessa road map secessionista.

Escono nettamente sconfitti da questo voto i grandi partiti nazionali spagnoli, ormai ridotti al minimo storico in Catalogna: i Popolari di Mariano Rajoy, forte oppositore delle istanze di Mas, ed anche i socialisti del Psoe, tradizionalmente forti a Barcellona. Diversi i loro toni sulla questione catalana: Mariano Rajoy ha ammorbidito i toni ma sostanzialmente ribadito le sue posizioni dopo la sonora sconfitta. “Ci sono molte cose che possono essere discusse; sono pronto ad ascoltare, ma non ad andare fuori dal perimetro della legge. Finché sarò premier, non discuterò mai dell’unità della Spagna o di sovranità nazionale”.

Nel Psoe sembra prevalere una linea favorevole ad una riforma in senso federalista. Miquel Iceta, leader socialista catalano, sostiene “una riforma costituzionale che trasformi la Spagna in uno stato federale, riconoscendo le caratteristiche uniche della Catalogna”.

Anche Podemos, che rappresenta la nuova sinistra a livello nazionale dopo il successo alle amministrative di maggio, ha riportato un risultato modesto in Catalogna. Il leader Iglesias ha promesso di “convocare un referendum in Catalogna sull’indipendenza”, se riuscirà a conquistare il governo nazionale.

E il 20 dicembre si terranno in Spagna le elezioni politiche nazionali. E’ evidente che la questione catalana giocherà un ruolo importante nelle strategie per la conquista della Moncloa.

Giuseppe Citrolo

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Giuseppe Citrolo
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