Essere sindaco, ma a che prezzo

di Redazione

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Essere sindaco, ma a che prezzo

| martedì 04 Dicembre 2012 - 06:44

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PALERMO, 4 DICEMBRE – È il frontman delle istituzioni, la prima faccia, la voce solista, l’uomo sul palco che il pubblico può toccare, quello che più di ogni altro prende applausi o fischi. Fa – anzi faceva – il più bel mestiere del mondo, almeno per chi ama la politica: il sindaco. Oggi il mestiere più difficile del mondo.

Un oggi che dura da qualche anno, da quando i Governi centrali hanno scoperto che la più comoda e immediata delle ricette per non aumentare a dismisura le tasse nazionali era quella di cambiare l’ordine dei fattori rovesciando sul livello locale il malcontento generale. Come? Semplice, lasciando inalterate le competenze e via via riducendo i trasferimenti. Che il sindaco, sperperone per natura, si arrangi. Oddio, qualche sperpero c’è stato di sicuro, qualche elargizione di troppo, un disinvolto metodo di gestione del potere e una corsa all’acquisizione del consenso che portava verso lidi più “remunerativi”. Fare il sindaco, per molti, è stato il trampolino di lancio verso Consigli Regionali e Parlamento nazionale.
Perché, nella maggior parte dei casi, il sindaco aveva più consensi del premier? Perché erogava servizi percepibili e a un costo sostenibile in termini di tassazione diretta. Colpirlo nel portafoglio è stato facile – tanta era la spesa discrezionale – pochi hanno avuto il coraggio di lamentarsi. Ma la gran figata dell’abolizione dell’Ici è stato il primo campanello d’allarme che qualcosa stava cambiando: il Governo si fa bello togliendo una tassa che però incassavano i Comuni, una astuta mossa di marketing politico a costo zero (per il premier e il suo governo…). Da allora in poi non c’è stata Finanziaria che non abbia colpito con ganci e montanti il volto indifeso degli Enti Locali.
Un’operazione sistematica, la riduzione dei fondi, che i sindaci hanno faticato a digerire e ancor di più a metabolizzare. E quando hanno compreso di essere sul punto di andare al tappeto hanno cominciato a fare l’unica cosa possibile per riequilibrare i costi: aumentare la tassazione comunale.
Non è bastata la reintroduzione dell’Imu, c’è bisogno di ben altro per assorbire la mancanza di quei denari che non ci sono più e forse non ci saranno per un bel po’ di anni. E così scende il consenso e in alcuni casi parlare di governo comunale non ha più senso. Al massimo si può amministrare, con tutta la differenza che passa tra fare il ragioniere ogni giorno e avere un progetto di sviluppo per la propria città.
Il sindaco che era, il sindaco che è.

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