Il modello Sicilia, il modello Palermo e i tormenti del mio amico Ugo

di Redazione

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Il modello Sicilia, il modello Palermo e i tormenti del mio amico Ugo

| lunedì 18 Marzo 2013 - 06:52

Grillo Zamparini

PALERMO, 18 MARZO 2013 – Premessa: viviamo in un Paese che è riuscito, dopo decennali tentativi andati a vuoto, a rovinare il più perfetto dei sistemi elettorali. Ripudiato il proporzionale sull’altare del principio della governabilità assoluta, abbiamo optato, dopo altri nuovi tentativi, per un’alternativa che già dal nome svela i suoi connotati: porcellum.

 

Svolgimento. Oggi entriamo nella quarta settimana dopo le elezioni che avrebbero dovuto dare un nuovo governo al Paese. Sappiamo che chi ha vinto non può governare, al massimo autonomamente eleggere solo il presidente della Camera. Per il Senato c’è stato bisogno di un aiutino. E alla fine la missione è stata compiuta, nell’uno e nell’altro dei Palazzi.

Laura Boldrini, eletta in Sicilia nelle fila di Sel, si è insediata a Montecitorio; Piero Grasso, sicilianissimo ma politicamente emigrato oltre lo Stretto per motivi di opportunità, ha vinto il suo derby con Schifani che aveva in palio la seconda carica dello Stato. Neanche a dirlo, quando c’è casino c’è di mezzo la Sicilia…

E c’è chi prontamente ha rievocato una formula tanto di moda in questi giorni dalle nostre parti: il modello Sicilia. Cosa vuol dire? Che Grasso per vincere ha preso i voti dei grillini così come il presidente Crocetta che in assenza, talvolta, di una maggioranza politica ricorre al serbatoio del Movimento 5 Stelle per appattare i numeri. E’ chiaro che ciò è possibile solo in circostanze in cui gli intenti del Governatore coincidano con quelli dei seguaci di Grillo, in un’ottica di puro pragmatismo e sano realismo. Quello stesso realismo adottato per l’elezione di Grasso verso il quale i grillini hanno scoperto maggiori affinità elettive rispetto a Schifani. Lo hanno fatto in una maniera che neanche lo scrutinio segreto è riuscito a mascherare, lasciando filtrare la verità prima della votazione: “Se vince Schifani a noi in Sicilia ci fanno un mazzo tanto“. Uno sfoggio di straordinaria – per quanto anonima – sincerità che ha fatto incazzare Grillo che chiede le dimissioni di chi ha trasgredito agli ordini di restare terzi rispetto alla contesa.

Ma l’anatema di Grillo tuttavia sembra nascondere altre realtà. La prima: vi è chiaro che senza di noi non avete dove andare? La seconda: non potete sbagliare una sola mossa perché altrimenti vi mettiamo in croce. Perché, inutile nasconderlo, la scelta di Grasso è stata una gran figata, un nome fuori dal vero apparato di partito a cui è difficile dire di no per i valori che rappresenta e che appartengono a tutti e non solo al Pd. I fulmini di Grillo sono più la dichiarazione di una vittoria che non una scomunica. E se anche così fosse, cominci a farci l’abitudine a queste trasgressioni perché tira un’aria poco favorevole al ritorno alle urne. C’è voglia di governo, lo chiamino pure modello Sicilia con lo stesso gioco di finzione che ispira il modello Palermo.

E qui, perdonateci, si salta di palo in frasca e si parla di calcio. E del modello Palermo, quella geniale intuizione di Zamparini che ha dato lustro, anzi un lustro di calcio come non se ne vedeva da quasi mezzo secolo. Denaro, passione, bacino d’utenza: Zamparini ha messo tutto ciò in fila e ha creato un piccolo gioiellino. Siccome di comunicazione non ne capisce un fico secco non ha mai parlato di modello Palermo, ma questo era il messaggio che passava. Un’altra maniera di fare calcio, sana gestione amministrativa, acute intuizioni tecniche, una squadra che sposava l’indole passionale di una città e vestiva a pennello quel rosa che ha un appeal unico nel mondo.

Il modello Palermo, come tutti i bluff, non ha resistito a lungo mostrando negli ultimi due anni il suo vero volto, quello dell’approssimazione, del pressappochismo, del più irritante dilettantismo. Il modello Palermo si basava su un presupposto: denaro contante in un mondo in cui è per lo più virtuale. Pagare più degli altri per essere affascinante agli occhi dei giocatori che altrimenti col piffero che si sarebbero accollati lo stress di un presidente come il nostro. Comprare, comprare, comprare: e finchè c’erano dirigenti bravi (e strapagati) a tirare le fila i frutti si sono visti, male che andava mai più giù del decimo posto. E poi le qualificazioni Uefa, la finale di Coppa Italia, la possibilità di vedere campioni prima destinati ai soliti noti. Poi niente più denaro, il sor Maurizio ha chiuso i rubinetti, ha preteso di fare tutto da sé, un re Mida senza tocco magico. E ha conquistato la sua bella retrocessione con largo anticipo. E del modello Palermo è rimasta solo l’abitudine a licenziare gli allenatori, una volta appena tollerata sull’altare dei risultati, oggi messa alla berlina dall’intera Italia calcistica.

 

Il re è nudo e sfrontatamente sbeffeggiato, persino sul fronte politico, altro palcoscenico su cui ha provato ad esibirsi. Ed anche lì, finchè ha messo mani al portafoglio, si aprivano le porte dei media e gli si riservava quella finta attenzione destinata a chi può comprarla sul mercato. Poi, chiusi anche questi rubinetti e fallito un tentativo dopo l’altro di trovare sponde a destra come a sinistra, non gli è rimasto che illudersi della vittoria dicendo ai suoi (ma in verità, a chi?) di votare Grillo (che non se l’è filato neanche di striscio). Ha tirato troppo la corda, ha giocato con la passione della gente, presuntuoso, vanitoso, colpito da delirio di onnipotenza: il mio amico Ugo non le manda a dire. Solo che tra modello Sicilia, modello Palermo, calcio e politica ho dimenticato di chiedergli se ce l’aveva con Zamparini oppure con Beppe Grillo. Peccato. Però, in fondo, si capisce…

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