Russo torna a indossare la toga, l’uomo forte della rivoluzione sanitaria lascia la Sicilia e va a Napoli

di Redazione

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Russo torna a indossare la toga, l’uomo forte della rivoluzione sanitaria lascia la Sicilia e va a Napoli

| sabato 04 Maggio 2013 - 19:50

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PALERMO, 5 MAGGIO 2013 – Massimo Russo lascia la Sicilia. Da domani l’ex assessore regionale per la Salute lavorerà a Napoli, giudice di sorveglianza. Torna dunque a fare il magistrato, il suo vecchio mestiere, e dovrà farlo per almeno tre anni fuori dalla Sicilia perché così ha deliberato il Csm.

 

Va via in silenzio, con la schiena dritta e a testa alta, dopo cinque anni molto “rumorosi”, vissuti in trincea.

 

“Adesso per me ci sono altre regole da rispettare, innanzitutto quella del riserbo”, risponde laconicamente il “magistrato” Russo a chi tenta di strappargli un commento sulla situazione politica.

 

Va via da vincitore, perché ha centrato i principali obiettivi di una “missione impossibile”, a cominciare dall’azzeramento di un deficit mostruoso e dal rispetto dell’ormai mitologico Piano di rientro.

 

Va via con un record significativo: è stato l’assessore alla Sanità più longevo di sempre, l’unico a sopravvivere ai tanti rimpasti, l’unico a resistere alle enormi pressioni, facilmente immaginabili per chi è a capo del ramo dell’amministrazione che governa circa metà dell’intera spesa regionale.

 

“Una grande esperienza al servizio della mia terra e del mio paese”, ha ripetuto più volte durante il suo mandato. Forse avrebbe voluto continuare, completare l’opera ma non se l’è sentita di restare a dispetto dei santi.

 

Russo, così poco incline al compromesso, non era certo un personaggio facile, controllabile, addomesticabile: “non porta consenso”, decretò qualcuno che nelle segrete stanze della politica ha cercato di portare acqua al proprio mulino alla vigilia delle elezioni. Qualcuno che probabilmente aveva il timore che dalle urne potesse venire fuori il consenso della maggioranza silenziosa.

 

Al Ministero o nei Palazzi della politica nazionale l’hanno sempre considerato l’uomo forte, in grado di affrontare situazioni molto delicate (e non soltanto per la sanità siciliana), ipotizzando anche nuovi incarichi politico – amministrativi adatti alla sua personalità rigorosa e inflessibile. Nell’epoca del Governo delle larghe intese avrebbe potuto fare comodo un “tecnico” – non etichettabile partiticamente – che porta il risultato a casa.

 

In Sicilia, invece, l’hanno sempre considerato un “virus” in un mondo di collaudati usi e costumi. Sia a destra che a sinistra. Troppo scomodo.

 

Un martire della politica, dunque? No, ovviamente. Anche Russo ha commesso i suoi errori. Ruvido nel carattere e poco diplomatico non soltanto con gli avversari ma perfino con gli “alleati” politici (altro che foglia di fico del presidente della Regione Lombardo), incapace di accettare quelle “mediazioni” che la politica ritiene imprescindibili.

 

Ma è giusto riconoscergli di avere portato la croce di provvedimenti tanto necessari quanto impopolari sacrificando il “ritorno d’immagine” sull’altare dell’interesse della Sicilia e del rispetto della legge.

 

A cinque mesi dalla fine del mandato – e soprattutto all’indomani di una Finanziaria molto (troppo) simile “filosoficamente” a quella degli anni passati, tabella H compresa – potrebbe essere utile rileggere la storia recente. E’ stato o no rivoluzionario l’avere predicato, anche a costo dell’impopolarità, il rispetto delle regole e l’aver mantenuto gli impegni assunti?

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