L’inno alla leggerezza di Luca Bianchini, idolo della cultura Pop intervistato da Si24

di Redazione

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L’inno alla leggerezza di Luca Bianchini, idolo della cultura Pop intervistato da Si24

| martedì 24 Settembre 2013 - 18:18

Luca.Bianchini

PALERMO, 25 SETTEMBRE 2013 – Quando vendi più di 131 mila copie in un Paese in cui non legge praticamente più nessuno, deve esserci per forza qualcosa dietro. O hai talento o ci sai fare. Nel mondo dell’editoria non c’è una gradazione di grigio e il marchio di “autore commerciale” è lì che incombe ingombrante come un’etichetta difficile da grattare via.

Luca Bianchini il successo l’ha raggiunto a 43 anni, quasi senza accorgersene. Per scrivere a tempo pieno si è buttato alle spalle un lavoro sicuro in un’agenzia pubblicitaria. Cinque romanzi in dieci anni e la notorietà che arriva improvvisa quando Eros Ramazzotti gli chiede di scrivere la sua autobiografia. Da lì in poi la strada è in discesa. Ma è col suo ultimo romanzo “Io che amo solo te”, che sarà presentato oggi alle 18.30 a Palermo alla libreria Flaccovio-Mondadori del Centro commerciale Forum dalla giornalista Adriana Falsone, che arriva la consacrazione. Una storia sull’amore, che ti sorprende sempre, a prescindere dall’età e dall’orientamento sessuale.

“Io che amo solo te” è stato definito il libro dell’estate ma anche un libro per l’estate. A suggerire quelle relazioni poco impegnative e consumate in fretta, che durano lo spazio di una stagione e sono subito dimenticate. Senza troppa fatica.

La tua scrittura scorrevole e ironica è un inno alla leggerezza. Alcuni però in questa leggerezza leggono una sorta di disimpegno. Sono snob o hanno poca ironia?
Tutte e due le cose. Con i numeri che ho fatto ho avuto pochissimi inviti a festival letterari di un certo tipo, come Mantova o Pordenone. L’impressione è che la commedia, anche se esce in una collana letteraria, non venga mai percepita come vera letteratura. Come se si dovessero raccontare sempre e solo drammi o conflitti esistenziali. Mi dispiace un po’, però chissenefrega.

Tutti i tuoi libri affrontano i temi dell’Amore e dell’Amicizia, valori universali e storie semplici, pop, in cui ciascuno può identificarsi. È questo il segreto del tuo successo?
Il segreto del successo non l’ho proprio capito! l successo di questo libro è arrivato mentre ero concentrato su altre cose della mia vita. Forse “Io che amo solo te” non è neanche il mio libro più bello, però ha colpito il cuore di tante persone. L’amore è sempre un argomento che piace molto, anche il titolo è piaciuto. Ho raccontato tutte le sfumature dell’amore: quello filiale, tra fratelli, tra amanti, quello impossibile, il primo amore. E questo probabilmente ha emozionato i lettori. Ma io me ne sono accorto dopo.

Il successo porta con sé una dose di responsabilità. Tu sei letto da un pubblico giovane, che fa i conti con disoccupazione e vita precaria e magari cerca una risposta tra le pagine dei tuoi libri. Che idea ti sei fatto di questa generazione?
Io cerco di mandare dei messaggi positivi, con ironia e senza prendermi troppo sul serio. Scrivo romanzi, non ti spiego la vita, racconto delle storie. Poi se dentro ci sono dei messaggi ben venga ma non ho nulla da insegnare a nessuno. I giovani che mi leggono, poi, sono i quarantenni. Di ventenni alle mie presentazioni ne ho visti pochi. La mia percezione è che leggano solo ciò che li rappresenta e leggano poco. A parte What’s app, ovviamente.

Da Nichelino, provincia di Torino, a Polignano a Mare, provincia di Bari. In “Io che amo solo te” hai fatto un’immersione nel profondo Sud per invitarci a un matrimonio pugliese. Qualche lettore ti rimprovera di avere riproposto lo stereotipo del Sud generoso ma un po’ bigotto.
Bigotto mica tanto. Non voglio anticipare la trama però, per esempio, il padre ha un figlio gay e mica lo disereda, anzi gli dice che “è più disperato di lui”. Certo è un matrimonio tradizionale, ma è un pretesto narrativo per descrivere le dinamiche della famiglia, che al sud sono molto diverse: si litiga molto di più, i fratelli non si parlano per anni per chi deve avere il cassettone della nonna! Le ho raccontate perché mi hanno colpito. Poi è anche vero che il successo scatena sempre delle opinioni negative.

Hai intervistato personaggi del calibro di Michael Stipe, il tuo cantante preferito, e Madonna. Ma davvero ti piaceva Eros Ramazzotti?
Certo che mi piace, non lo dico solo perché ho scritto la sua biografia. Ho trovato bellissima la sua storia: un borgataro introverso che va a Milano e ha successo. Mi sono divertito. E anche questa è stata una coincidenza: non volevano un giornalista, cercavano uno scrittore, avevano letto il mio libro, era piaciuto e mi hanno chiamato.

Ti faccio tre nomi: Giuliano Sangiorgi, Fiorello, Ammaniti. Dimmi cosa ne pensi.
Giuliano Sangiorgi direi amico. Fiorello: gratitudine. E Ammaniti: talento.

 

I tuoi personaggi fanno spesso i conti con il senso di colpa. È un tratto autobiografico?
Sì, io vivo sempre di sensi di colpa. Continuamente. Ma credo che sia un tratto degli italiani, della nostra cultura cattolica. Ci sentiamo sempre in colpa, anche per non essere andati a trovare la zia. E al Sud è ancora peggio, perché c’è un senso di colpa preventivo.

Nel tuo ultimo romanzo torna anche l’amore omosessuale, quello tra Orlando, il fratello dello sposo, e l'”Innominato”. Un amore segreto e impossibile. A tratti autodistruttivo. Che ne penserebbe Orlando della legge contro l’omofobia approvata alla Camera?
Orlando è talmente preso dal suo amore impossibile che non è così interessato all’argomento. Sicuramente sarebbe contento, anche se – e questo lo penso anche io – la realtà è più avanti di quello che ci raccontano le leggi. La tolleranza è più grande di quello che sembri. Quello che deve cambiare è l’educazione. Come sul dimagrimento, si parla dello stile di vita e anche contro l’omofobia bisogna cambiare stile. E le zie devono smettere di chiedere quando ti sposi. E capire che a volte non ti sposi.

Come dire che leggerezza non sempre significa superficialità.

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