Sono tre le domande di costituzione di parte civile presentate nel corso dell’udienza preliminare per la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’editore Mario Ciancio Sanfilippo, per concorso esterno all’associazione mafiosa. A presentarle sono stati l’Ordine dei giornalisti di Sicilia, i familiari del commissario della polizia di Stato Beppe Montana e Sos Impresa, associazione antiracket di Confesercenti.
I legali dell’editore non si opposti e la Procura ha dato parere favorevole. Il Gup di Catania, Gaetana Bernabò Distefano, ha aggiornato l’udienza al 14 ottobre per deliberare sulle richieste. L’Ordine dei giornalisti siciliani, ha spiegato l’avvocato Dario Pastore, ha agito per “tutelare la propria immagine e difendere l’integrità del lavoro dei colleghi e l’autonomia e l’indipendenza dell’informazione”.
Le contestazioni di Dario e Girlando Montana, fratelli del commissario Beppe ucciso dalla mafia a Palermo, ha detto l’avvocato Goffredo D’Antona, riguarda la mancata pubblicazione di un necrologio sul quotidiano La Sicilia nel trigesimo della morte del poliziotto. Il rifiuto del quotidiano sarebbe arrivato perché conteneva l’affermazione “con rinnovato disprezzo alla mafia e ai suoi anonimi sostenitori”.
Sos impresa di Confesercenti, con l’avvocato Fausto Maria Amato, ha ritenuto, se confermate le tesi dell’accusa “colpita la libertà di iniziativa economica”. I legali dell’editore, gli avvocati Carmelo Peluso e Francesco Colotti, quest’ultimo in rappresentanza di Giulia Bongiorno, hanno sottolineato che “è giusto che le valutazioni le faccia il giudice: noi saremo felici di dimostrare anche alle eventuali parti civili, e in generale a tutti, l’estraneità alle accuse del dottor Ciancio”.
L’avvocato di Ciancio Carmelo Peluso ha dichiarato sul sequestro preventivo di 12 milioni di euro di titoli eseguito due giorni fa in Svizzera da carabinieri del Ros, su richiesta della Procura di Catania: “Ben prima che la magistratura si attivasse Mario Ciancio Sanfilippo aveva chiesto di movimentare dei soldi dalla Svizzera in Italia, altro che in presunti ‘paradisi fiscali’ come sostiene l’accusa, per pagare le tasse e anche gli stipendi ai dipendenti”.
Altri 5 milioni sono stati sequestrati in una banca nel capoluogo etneo. Il penalista ha annunciato che presenterà una richiesta di annullamento del provvedimento allo stessa sezione del Tribunale di prevenzione che lo ha emesso: “Hanno ritenuto esistesse una disparità tra reddito dichiarato e quello esistente – ha detto Peluso – ma un imprenditore ha un patrimonio diverso da quello che presenta nella dichiarazione dei redditi personali. Abbiamo i documenti che lo dimostrano”.