Il patto Renzi-Berlusconi, la legge elettorale | e il guanto di sfida dei bersaniani

di Elena Di Dio

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Il patto Renzi-Berlusconi, la legge elettorale | e il guanto di sfida dei bersaniani

| sabato 18 Gennaio 2014 - 07:18

È stato commissario del Pd calabrese e “premiato” con un posto in lista, blindato in posizione, nella circoscrizione alla Camera. E oggi rappresenta l’ala dura dei bersaniani d’attacco. Quelli che nelle correnti interne al Partito Democratico, vogliono rmostrare i muscoli di un’opposizione interna che ieri è riuscita a far saltare i nervi al plenipotenziario segretario nazionale del Pd, Matteo Renzi.

Lui si chiama Alfredo D’Attorre, ‘anonimo’ o quasi – almeno fino ad oggi – deputato nazionale del Pd. Fino a oggi, perché è toccato a lui – bersaniano di ferro – pronunciare le parole dure all’indirizzo del sindaco di Firenze alla vigilia dell’incontro che Renzi ha fissato alla sede del Nazareno nientemeno che con il cavaliere Silvio Berlusconi. Portando cioè in casa Dem – al netto delle polemiche che il solo colloquio con il leader di Forza Italia avevano scatenato – il cavaliere decaduto.

E così D’Attorre – in una singolare convergenza di date, ovvero nello stesso giorno in cui a Parma viene sciolta la prognosi per l’ex segretario nazionale del Pd e va a trovarlo il premier Enrico Letta – pronuncia la sua sentenza. Sua a nome della corrente che in Parlamento è maggioranza al netto della vittoria “esagerata” – per numeri – di Renzi alle primarie dell’8 dicembre scorso.

Dice l’ex commissario del Pd calabrese: “Se si chiude il patto Berlusconi-Renzi che esclude tutti gli altri, la maggioranza finisce domani”. E poi D’Attorre entra nel merito della proposta di riforma alla spagnola su cui discutono Renzi e Berlusconi: “Lo spagnolo in salsa italica è costituzionalmente e politicamente invotabile”. E sullo scontro che rischia di insanguinare il tavolo delle trattative interne già da lunedì prossimo, quando è convocata di nuovo la direzione del Pd, D’Attore assicura: “Non sarà una battaglia vigliacca nascondendosi dietro il voto segreto, perché le vigliaccate son state fin troppe, ma una battaglia politica a viso aperto nel gruppo, nelle commissioni, in Aula”.

Insomma Renzi sembrerebbe averla fatta troppo facile. O addirittura – sostiene chi ama i complotti – l’ha studiata a puntino per scatenare la reazione interna di una frangia ormai minoritaria del suo stesso partito e far saltare il tavolo del governo. Epilogo inevitabile di una volontà che lui ha sempre negato, quello cioè di anticipare il voto all’election day tanto caro al cavaliere e tornare alle urne per politiche ed europee il prossimo 25 maggio.

Con una correzione elettorale che però dovrà fare i conti con il voto dell’aula in un incrocio perverso di proposte che mettono i partiti l’un contro l’altro. Se da un lato Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano si è detto disponibile a trattare per l’ipotesi del “sindaco d’Italia” con doppio turno che scopre le alleanze e blinda il successo elettorale del premier vincente, dall’altro lato Forza Italia spinge per il modello spagnolo che porta alla costituzione di circoscrizioni elettorali più piccole e privilegia il radicamento nel territorio delle forze in campo assegnando un premio di maggioranza del 15% misuratissimo rispetto alla sproporzione del Porcellum bocciato dalla Corte costituzionale.

Ma che – almeno in apparenza – i nervi siano saltati a Renzi sembrano dimostrarlo le dichiarazioni della sera, quelle con cui ieri il sindaco di Firenze ha voluto chiudere la giornata intervenendo a “Le invasioni barbariche”. Alla vigilia dell’incontro con la segretaria di Scelta Civica, Stefania Giannini, e nel giorno in cui all’assemblea nazionale dei moderati, è ritornato a farsi sentire e vedere il professore Mario Monti, Renzi attacca: “Basta al ricatto dei partitini. L’Italia è morta su questa cosa qua. Possibile che dobbiamo subire i ricatti di Scelta Civica e Per L’Italia, che sono partiti da 2%?”.

Parole che hanno scosso la segretaria che ha risposto per le rime al collega del Pd: “Scelta Civica è al governo in forza di tre milioni di voti e non per via di primarie all’italiana. Renzi non faccia il bullo”. I due, toscani entrambi, si confronteranno solo fra qualche manciata di ore. E non è certo lo scontro più duro che attende il sindaco di Firenze. Per dirla con le sue stesse parole: “Il meglio deve ancora venire”.

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