Stato-mafia, ecco perché il processo va spostato | Le motivazioni degli imputati

di Redazione

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Stato-mafia, ecco perché il processo va spostato | Le motivazioni degli imputati

| venerdì 07 Marzo 2014 - 20:49

Le frasi di Totò Riina, riportate nei verbali depositati nel processo sulla trattativa Stato-mafia, e le reazioni di politici, magistrati, giornalisti e opinione pubblica sono state riassunte nelle 47 pagine dell’istanza in cui gli imputati Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni chiedono la rimessione del processo e il trasferimento in altre sede del dibattimento come prevede l’art. 45 del codice di procedura penale. “Colui il quale è stato riconosciuto come il ‘capo dei capi’ della mafia – scrivono – avrebbe esclamato ‘Di Matteo deve morire. E con lui tutti i pm della trattativa’”.

Queste affermazioni, assieme alle altre che intanto si andavano aggiungendo con i depositi nel processo e gli articoli di stampa, causavano, secondo gli imputati “un innalzamento dei timori per l’ordine pubblico, in considerazione del fatto che, stavolta, il Riina non solo si era mostrato parimenti determinato nel portare a termine questo progetto ma, altresì circostanziato”. Alcune affermazioni di Riina, ricordano gli imputati, lasciano intendere “che in qualunque momento potrebbe verificarsi un attentato”.

In particolare, la frase “tanto al processo deve venire”, dimostrerebbe “che una delle possibili modalità di esecuzione di tale proposito criminoso – sostengono gli imputati – potrebbe verificarsi in occasione delle udienze relative al processo”. Mori, De Donno e Subranni ricordano poi i timori e le rassicurazioni ai pm sulla sicurezza del ministro dell’Interno Angelino Alfano, nonché dell’ipotesi di assegnare al magistrato Nino Di Matteo un “carro armato, adoperato addirittura in Afghanistan” o un “Bomb Jammer”. “Le parole del Riina, per un verso, e quelle del ministro dell’Interno, dall’altro – aggiungono -, non lasciano dubbi circa le modalità ed i mezzi attraverso i quali raggiungere tale obiettivo: il ricorso ad autobombe ed all’uso di esplosivi”.

Gli imputati ricordano anche il “clima ambientale mefitico e per nulla consono alla celebrazione del presente processo. I giudici sanno in coscienza che ogni volta che si recano in udienza sono esposti a cotanto rischio per la loro incolumità personale”. “Nel caso specifico – concludono – il turbamento allo svolgimento del processo è la tanto logica quanto inevitabile conseguenza di minacce serie, inequivocabili ed estremamente concrete rivolte proprio ai pubblici ministeri di quello stesso processo, sicché non può revocarsi in dubbio l’esistenza di un rapporto di causalità tra le une e l’altro”.

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