The Grand Budapest Hotel, la recensione della pellicola di Wes Anderson

di Enrico Lo Coco

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The Grand Budapest Hotel, la recensione della pellicola di Wes Anderson

| martedì 08 Aprile 2014 - 15:16

The Grand Budapest Hotel, la commedia diretta da Wes Anderson e distribuita da 20th Century Fox, verrà proiettata nelle sale italiane a partire da giovedì 10 aprile.

RECENSIONE:

Voto: 9 – Wes Anderson torna indietro nel tempo. Non una volta sola, e non con un solo personaggio. Difatti tutto comincia quando una bambina trova un libro su un albergo, di cui lo scrittore anziano subito dopo decide di raccontare l’origine; egli è intento a narrare di come abbia scritto sul Grand Budapest Hotel, vecchia gloria della ristorazione ed alberghIera di una altrettanto vecchia e gloriosa Repubblica.

Li, quasi vent’anni prima, pertanto giovane (Jude Law) aveva conosciuto il signor Mostafa (F. Murray Abraham), proprietario del plesso ormai in decadenza e con pochissimi ospiti; costui decide di raccontargli la storia di come ebbe l’albergo, lui ricco possidente e proprietario di castelli e grandi tenute. Ancora tornando indietro, lui è Zero (Tony Revolori, esordiente), appena assunto dall’albergo come ragazzo tuttofare da M. Gustave (Ralph Fiennes, in stato di grazia); insieme diverranno amici e compagni di un viaggio inaspettato, un’avventura che li porta a confrontarsi con l’imminente guerra ed i suoi protagonisti, conditi e confezionati con ingredienti comici e spensierati.

Lontano nel tempo, ma assai vicino nella forma, nella fotografia e nei suoi splendidi colori, geometrico come mai, Anderson non rinuncia, anzi esaspera e porta ai livelli massimi la sua poetica, stuzzicando il pubblico in tutti i suoi strati, che sono gli stessi dei suoi viaggi temporali; il gioco di appropriazioni e furti diventa quasi metafora della politica a tavolino del tempo, lo stesso plesso che da il titolo al film dell’Europa, ridotta a vecchia meraviglia che soffre l’avanzare del tempo.

Ma senza peso, senza grigiore, il regista affronta questi temi, anzi con la candida allegria di chi, nei suoi film, ci mette sempre fantasia; così, con l’animo un pò thriller ed il cuore da commedia, ad Anderson riesce di utilizzare i tempi del film per raccontare un racconto, riflettere sulla narrazione attandadovi il cinema dei suoi maestri e di quelli di genere, cambiando per ciascuno un formato di proiezione. Punto di forza invero, però, è come sempre la comparsa di innumerevoli personaggi che disegnano il mosaico variopinto e già addobbato dal colore vivido ed intenso della pellicola.

Nel cast figurano Bill Murray, Owen Wilson e Jason Schwarzman, onnipresenti; si aggiungono Léa Seydoux, Harvey Keitel, Adrien Brody, Willem Dafoe, Tilda Swinton con i già detti protagonisti, tutti meritevoli di menzione per una recitazione, singola e corale, da standing ovation. Ultima, non meno importante, Saoirse Ronan, nei panni di Agatha, fornaia presso il pasticcere Mandle.

Perché in fin dei conti, con pochissime eccezioni, a tutti piacciono i dolci e di fronte a quei dolci, belli a vedersi ed impacchettati in splendide confezioni rosa dal nastro blu (proprio come le inquadrature del film, sempre deliziose quasi fossero dolciumi), tutti tornano bambini. Anche se si parla delle cose serie degli adulti.

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