Le nuove responsabilità: che cosa sono e dove affondano le radici

di Azzurra Sichera

» Scuola » Le nuove responsabilità: che cosa sono e dove affondano le radici

Le nuove responsabilità: che cosa sono e dove affondano le radici

| mercoledì 18 Giugno 2014 - 10:47

Sempre più spesso si sente pronunciare la parola responsabilità. Ma siamo sicuri che sia usata con la giusta cautela e con piena coscienza del profondo significato di cui questa parola è carica?

La responsabilità porta con sé il peso dello sguardo dell’opinione pubblica. Gli occhi di quelle persone che gridano il loro dolore ogni giorno; della gente che non capisce come sia possibile che il nostro Paese sia ancora senza un governo; di uomini e donne che decidono di togliersi la vita schiacciati dal peso delle miseria e della disperazione; dei bambini che un giorno si chiederanno perché non abbiamo tentato di consegnare loro un futuro migliore.

Il termine responsabilità è tra quei concetti che, con il loro significato, investono un panorama di ambiti semantici molto vasto. L’espressione infatti può essere associata al settore giuridico così come alla speculazione filosofica, alla medicina così come alla politica, ma con una traccia comune che ne delinea la specificità: l’orientamento al futuro. Infatti la responsabilità si designa come la capacità di rispondere dei propri comportamenti accettandone gli effetti, ovvero il complesso di conseguenze che normalmente deriva da un’azione umana. Ma non è la reazione immediata che deve guidarci in queste situazioni, bensì la nostra capacità di vedere le conseguenze lontane di quello che facciamo. Come scrisse Jean-Paul Sartre: “È vero che non sei responsabile di quello che sei, ma sei responsabile di quello che fai di ciò che sei”.

Oggi questo concetto assume una valenza particolare, dato che il nostro tempo impone un atteggiamento orientato alla salvaguardia del futuro e dell’umanità: è necessario e urgente iniziare ad assumere un comportamento responsabile nei confronti delle prossime generazioni, un atteggiamento che deve nascere da ciò che facciamo quotidianamente, sia per coloro che abbiamo più vicini che per noi stessi, non dimenticando il prossimo.

Hans Jonas, filosofo tedesco del ‘900, nel suo Il Principio responsabilità scrisse: «La responsabilità è la cura per un altro essere quando venga riconosciuta come dovere, diventando “apprensione” nel caso in cui venga minacciata la vulnerabilità di quell’essere. Ma la paura è già racchiusa potenzialmente nella questione originaria da cui ci si può immaginare scaturisca ogni responsabilità attiva: che cosa capiterà a quell’essere, se io non mi prendo cura di lui? Quanto più oscura risulta la risposta, tanto più nitidamente delineata è la responsabilità. Quanto più lontano nel futuro, quanto più distante dalle proprie gioie e dai propri dolori, quanto meno familiare è nel suo manifestarsi ciò che va temuto, tanto più la chiarezza dell’immaginazione e la sensibilità emotiva debbono essere mobilitate a quello scopo».

Preoccupato anche lui dal momento di rivoluzione che il mondo stava attraversando con l’affermarsi delle nuove tecnologie e con l’aprirsi di nuovi orizzonti, Heidegger qualche anno prima sviluppa in quest’ottica il suo concetto di cura. Il filosofo elaborò una teoria che riconduce all’essere a partire dal prendersi cura non solo di se stesso, della singola esistenza, ma anche di tutti gli altri enti che popolano il mondo in cui viviamo. La cura è il compito dell’uomo che deve prima di ogni cosa salvaguardare e custodire l’essere, una dichiarazione espressa in un momento in cui l’umanità viveva un pericolo essenziale: il senso dell’essere rischiava di venir smarrito a causa delle manipolazioni operate dalla tecnica e dal progresso scientifico. Un panorama che non può lasciarci indifferenti se pensiamo alle questioni che l’etica continuamente pone anche nel nostro secolo, o se riflettiamo sul dibattito continuo sui pro e i contro della tecnologia che ha invaso le nostre vite, rendendoci forse più schiavi che consapevoli.

Il monito dunque è quello di pensare al prossimoMa chi è questo prossimo? Possiamo dire di conoscerlo veramente? Queste sono alcune delle domande alle quali un gruppo di insegnanti di filosofia ha tentato di rispondere, collazionando le loro relazioni nel volume dal titolo Chi è l’altro? Etica, responsabilità, alterità (C. Sini, P, Bruschi, R. Mosconi, S. Negretto, A. Gadda, Negretto Editore, Castel d’Ario, 2008, 96 pagine, 10,00 euro), nella cui premessa si legge: «Chi è l’altro? A questa domanda apparentemente banale, da sempre l’uomo ha cercato di rispondere appellandosi all’evidenza: l’altro c’è davanti a me…! Eppure basta articolare un po’ di più l’interrogativo di fondo per accorgersi che l’atteggiamento osservato dalla maggior parte di noi di fronte all’esistenza di altri non è invece affatto ovvio: le paure, le pulsioni aggressive, i conflitti suscitati dall’altro nella storia umana, dimostrano che l’altro è un problema. Le società multietniche o multinazionali, i grandi movimenti di popoli, la necessità per molte culture di integrare nuovi soggetti dentro solide identità storiche, e la paura che l’integrazione provochi il suo contrario – la disintegrazione di ogni tradizione – sono fenomeni ormai comuni nella società globalizzata. Noi crediamo che non ci possa essere soluzione alle grandi contraddizioni che oggettivamente si presentano alla coscienza dell’uomo contemporaneo, se non ci si impegna – ognuno nel proprio specifico ruolo – nell’incoraggiare e stimolare una generale riflessione culturale che parta dal pensiero dell’alterità e del suo senso adottando gli strumenti dell’argomentazioni, del confronto razionale e della discussione dialettica».

Di conseguenza il rapporto con l’altro diventa l’unico modo per conoscersi e per confrontarsi, ma questo già lo sapeva Socrate con la sua continua necessità di aprirsi al dialogo nel tentativo di trovare la verità celata in chi aveva di fronte e in se stesso.

L’esistenza degli altri è pertanto il fondamento necessario per fondare la propria, e per dirlo ricorriamo ancora una volta alle parole di Sartre: «L’uomo si rende conto che non può essere niente (nel senso in cui si dice che un uomo è spiritoso, o che è cattivo, o che è geloso), se gli altri non lo riconoscono come tale. Per ottenere una verità qualunque sul mio conto, bisogna che la ricavi tramite l’altro. L’altro è indispensabile alla mia esistenza così come alla conoscenza che io ho di me».

In quest’ottica, la filosofia dell’esistenza attribuisce all’uomo la completa responsabilità delle proprie scelte: il termine io diventa eccomi, ovvero sono pronto a rispondere delle mie azioni e a prendermi carico delle conseguenze. Un’azione veramente morale non può che fondarsi sull’assoluto rispetto dell’altro e sulla piena responsabilità nei suoi confronti, e l’essere umano, con la condizione nella quale continuamente vive, ovvero quella di unico essere in grado di decidere razionalmente e di compiere delle scelte, ha un senso di responsabilità che condiziona quotidianamente il suo agire, in particolar modo quello rivolto al futuro.

Emmanuel Lévinas considerava la responsabilità come qualcosa di intrinseco al soggetto e per questo motivo credeva che un’etica della responsabilità precedesse qualunque oggettiva ricerca della verità. Il filosofo fa derivare la preminenza della sua etica dall’esperienza, dell’incontro con l’altro: «il nostro rapporto col mondo, prima ancora di essere un rapporto con le cose, è un rapporto con l’Altro. È un rapporto prioritario che la tradizione metafisica occidentale ha occultato, cercando di assorbire e identificare l’altro a sé, spogliandolo della sua alterità».

E l’altro diventa nella sua filosofia volto, ed è proprio questo volto che guardandomi mi porge l’idea della responsabilità che ho nei suoi confronti. Come a sottolineare che non basta non incrociare un altro volto per non porsi il problema del prossimo; che non basta distogliere lo sguardo per sentirsi meno responsabili.

Edizioni Si24 s.r.l.
Aut. del tribunale di Palermo n.20 del 27/11/2013
Direttore responsabile: Maria Pia Ferlazzo
Editore: Edizioni Si24 s.r.l.
P.I. n. 06398130820