19 luglio 1992: “Il boato da via D’Amelio | lo abbiamo sentito fino a Torino”

di Alessandro Amato

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19 luglio 1992: “Il boato da via D’Amelio | lo abbiamo sentito fino a Torino”

| venerdì 18 Luglio 2014 - 22:11

La strage di via D’Amelio negli occhi è solo un vago e lacunoso ricordo. Nel pensiero rimane un vuoto. Enorme. La mancanza di un uomo che per lo Stato ha rinunciato alla vecchiaia sicura, un uomo che con lo Stato è rimasto fino all’ultimo. La retorica della parola spinge a chiamarlo eroe, Paolo Borsellino, per questa volta ricordiamo il magistrato. Il fedele e attento servitore della Repubblica.

Paolo Borsellino quel giorno però non stava servendo lo Stato, almeno in quel momento. Quel giorno badava alle ragioni del cuore. In via D’Amelio era andato a trovare la madre, insieme agli agenti della sua scorta. Ancora una volta nei racconti emergono i dettagli umani della vicenda e l’inumanità di quell’attentato che ha sventrato Palermo. Anzi no. Una bomba in grado di dilaniare il ventre del Paese e arrivare fino alle Alpi. “Quel giorno si è sentito il boato anche qui, si è sentito a Torino”. Il fragore di una palazzina dilaniata da un’autobomba, una Fiat 126 rubata, ha fatto tappare le orecchie a tutti.

Quello che successe nelle ore immediatamente successive lo ricordano in molti. I telegiornali dell’epoca e le ore di girato documentaristico hanno riesaminato ogni momento. Quasi non resta altro da dire se non lasciare, ancora una volta, alla magistratura il compito di fare chiarezza. Una luce che su questa vicenda, come in tante altre della nostra Repubblica, tarda ad arrivare.

La frase è scritta ovunque e ricorrente: “Chi ha paura muore ogni giorno. Chi non ha paura muore una volta soltanto” e probabilmente i due magistrati  Giovanni Falcone fu ucciso sulla strada per Palermo all’altezza di Capaci, sono morti una volta sola. Paolo Borsellino è morto solo per poche ore. Sì, è così. Non è il ricordo affettato e pieno di immagini, è un sentimento: la rabbia. L’incredulità di fronte alla degenerazione della violenza. L’avarizia di denaro e potere, la cattiveria di molti, di troppi. Gli occhi degli uomini e delle donne che quel giorno era bloccate davanti alla tv hanno in qualche modo fissato nell’eternità la vita del magistrato. Lo hanno fatto risvegliandosi come da un incantesimo. Non si può arrivare a tanto.

Paolo Borsellino ha continuato a vivere sin dal primo momento, fin dal suo ultimo respiro, nella mente degli italiani che avevano capito il senso profondo del lavoro ordinario, in uno straordinario Paese, di un magistrato, un uomo che faceva il suo mestiere. Lo ha fatto fino in fondo, anche quando altri hanno rinunciato, anche mentre altri remavano contro, ha lavorato sempre con attenzione e rigore. Una fede, un’idea, un pensiero importante quello che guidava Paolo Borsellino.

Abbiamo tentato di non scrivere mai una parola, forse riuscendoci. Quella parola è importante però non dimenticarla mai e combatterla in ogni singolo momento. Senza eroismi. Con il lavoro, il rispetto delle regole, il coraggio di dire di no alla strada più facile. Credere nel lavoro per tutti, nella giustizia e in un futuro migliore. Tutto questo non è mafia. mafia. In minuscolo, anche dopo il punto.

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(gm) Per la cronaca il 19 luglio, insieme a Paolo Borsellino, morirono cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, e Claudio Traina. Nel giorno dell’anniversario la redazione di Si24.it rivolge un commosso pensiero anche al loro sacrificio, al dolore dei familiari e all’abnegazione di quanti ora come allora sono chiamati a proteggere lo Stato (con la S maiuscola).

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