Totti – Roma: capolinea (stavolta davvero)! La fine di un’avventura inimitabile

di Andrea Zito

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Totti – Roma: capolinea (stavolta davvero)! La fine di un’avventura inimitabile

| domenica 28 Maggio 2017 - 20:01

Fine. Stavolta davvero: Francesco Totti lascia. Lo Stadio Olimpico (dopo un match con il cuore in gola per una Champions conquistata ma quasi svanita ad un passo dal traguardo) saluta il suo campione, il suo fratello, il suo “Pupone”, il suo ottavo re di Roma, dopo 25 anni, 619 presenze (terzo assoluto) e 250 gol in Serie A (secondo assoluto).

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Il popolo giallorosso (accorso in massa sugli spalti) saluta e omaggia in lacrime l’uomo simbolo di un quarto di secolo della storia del loro club del cuore, del calcio italiano e anche delle loro vite. Una storia iniziata il 28 marzo 1992, a soli 16 anni, quando Vujadin Boskov decise di farlo esordire in Serie A con la maglia della Roma.

Da lì in poi nulla fu più come prima: da talento prodigio, Totti è diventato prima la stella, poi (a furor di popolo) il capitano della Roma targata Sensi, tra prodezze, cucchiai, derby vinti, sfottò e una straripante ironia e convinzione nei propri mezzi: solo così è spiegabile (tra i tanti) quel “vi ho purgato ancora”, datato 11 aprile 1999, indossato sotto la maglia convinto che quel derby sarebbe potuto finire solo in un modo, con una vittoria della Roma.

Due anni dopo sarebbe arrivato lo scudetto, targato Totti e Capello: in mezzo la consacrazione a Euro 2000 con quel cucchiaio, tirato nei rigori della semifinale contro l’Olanda (ad Amsterdam, contro la marea oranje sugli spalti). Un cucchiaio per il quale il CT Dino Zoff diventò una furia, conscio del rischio corso; un cucchiaio che trasformò Er Pupone in un fenomeno nazional-popolare, fuori dagli schemi, tra libri, barzellette, comparsate in tv, un matrimonio da favola e la nascita dei propri figli a intervallare le vicende di campo (e l’eterna diatriba in nazionale: Totti o Del Piero? Del Piero o Totti?).

Una diatriba, quella azzurra, risolta solo nel 2006. Totti (dopo essere stato nell’occhio del ciclone per lo sputo a Poulsen a Euro 2004) arriva a quel mondiale in Germania con gli occhi del mondo puntati addosso dopo l’infortunio al perone (contro l’Empoli dell’ormai famigerato Richard Vanigli – suo malgrado diventato una sorte di uomo nero, a Roma e lungo tutta la penisola). Pelè lo etichetta come ago della bilancia: non sarà così. Totti attirerà l’attenzione su di se, segnerà il rigore decisivo contro l’Australia agli ottavi, ma soprattutto lavorerà con il gruppo ad un magico trionfo mondiale, anticamera del suo addio alla maglia azzurra solo un anno dopo (dopo 58 presenze e 9 reti).

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Ciò che viene dopo è una serie di trionfi sfiorati in campionato (i secondi posti con la Roma sono 9), ma soprattutto una lunga rincorsa a suon di gol ai mostri sacri del calcio italiano, un’esultanza dopo l’altra, un ciucciotto dopo l’altro, una prodezza dopo l’altra. In mezzo la Scarpa d’Oro, il record di presenze e gol nella Roma tolti a Losi e Pruzzo, le due Coppa Italia, la Supercoppa, ma anche un fisico che lentamente inizia a sentire il peso degli anni.

I fatti dimostrano che Totti, da leader e trascinatore quale era, comincia a diventare (almeno per parte della Roma) una presenza ingombrante: il pubblico lo acclama, lo adora, ma lui non è più il bomber di un tempo e (nonostante tutto) i vari allenatori dell’era americana della Roma (da Luis Enrique a Garcia, passando per Spalletti) faticano a gestire la sua personalità incontenibile e un oggettivo rifiuto di ritirarsi. Solo Zeman riesce a rivitalizzarlo (per un po’) sul piano atletico: gli altri non possono far altro che concedere sempre meno spazio e minuti, arretrando sempre di più la sua posizione in campo in proporzione ad una falcata e un chilometraggio sempre più ridotti.

Gli ultimi 2 anni, sotto la gestione Spalletti, sono l’emblema di questa ultima fase della carriera: Totti reclama spazio mostrando i muscoli a mezzo stampa, il tecnico reagisce non cedendo alla richiesta. Una situazione che rischia di spaccare l’ambiente, ma che alla fine vien sfruttata dallo stesso Spalletti per caricare Totti, che a fine stagione torna protagonista con alcune reti decisive nei finali di gara. Sembra il canto del cigno, il momento ideale di smettere, ma Totti non ne vuol sapere di ritirarsi.

Il club prende posizione: in modi più o meno diretti, Totti viene “invitato” a ritirarsi il prima possibile (annunciando il rinnovo per il 2016/17 come il suo ultimo anno). Questo suo ultimo anno però è stato vissuto sul confine sottile dell’equivoco: per molti il suo addio era inevitabile, ma lui non parla mai di addio (almeno sino a venerdì scorso), rivendicando fino all’ultimo la titolarità del diritto di annunciare lui la sua decisione, quasi a tenere ostaggio l’unico club con cui ha giocato e per cui ha dato tutto, vinto ma soprattutto perso tanto.

Questo addio sarebbe dovuto arrivare prima, probabilmente già l’anno scorso, ma non sarebbe stato un ritiro alla Francesco Totti senza un sussulto d’orgoglio del fuoriclasse che è in lui: Totti è fatto così, che piaccia oppure no e non vederlo più calcare il prato dell’Olimpico con una maglia giallorossa e il numero 10 sulla schiena, per molti sarà davvero strano. Dobbiamo farcene una ragione, stavolta è tutto finito; l’ultimo bomber dell’ultima generazione d’oro del calcio italiano se ne va. Sono riusciti a farlo piangere, ma a piangere sono tutti: dal primo all’ultimo. C’è solo il tempo per un ultimo urlo, ad acclamare il suo nome: Francesco Totti.

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