Picchiò un carabiniere, la lettera dal carcere: “Abbiamo vinto noi”

di Redazione

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Picchiò un carabiniere, la lettera dal carcere: “Abbiamo vinto noi”

| venerdì 16 Marzo 2018 - 13:07

“In quella giornata tra Piacenza e Macerata abbiamo vinto tutti noi che abbiamo conquistato le piazze. Noi ora dentro il carcere siamo come ostaggi nella rappresaglia dello stato contro i poveri, in una battaglia persa da Minniti, e che ora si serve dei tribunali per reprimere ciò che era giusto e naturale fare: scendere in strada e lottare”. Queste le parole dal carcere di Lorenzo “Dibi” Canti, che il 10 febbraio scorso aggredì e picchiò il brigadiere Luca Belvedere, insieme a Giorgio Battagliola, anche lui in cella. Nella lettera inviata dal carcere “San Lazzaro” di Piacenza, Canti si rivolge ai compagni, ringraziandoli per la loro costante solidarietà, non facendo alcun cenno al pentimento. Al contrario, Canti, si dice fiero delle sue azioni e si augura di poter uscire presto dal carcere per poter continuare gli studi e “soprattutto per tornare a vedere le piazze sempre più gremite, compatte e determinate ad opporsi contro la situazione politica che si è venuta a creare dopo le elezioni”.

La lettera è stata pubblicata dal sito InfoAut. Riportiamo il testo integrale:

“Scrivo questa lettera dal carcere di Piacenza in cui mi trovo rinchiuso da quella memorabile giornata di lotta collettiva che da nord a sud dell’Italia ha visto le strade e le piazze riempirsi di una forza politica fondamentale per la nostra classe precaria in questo periodo storico: un tuonante NO al fascismo e al razzismo. No a Casa Pound, Forza Nuova, e Lega Nord. No alla retorica dello straniero e del diverso. No al terrorismo leghista. No all’identificazione del migrante come persona da sfruttare sul posto di lavoro tra mille ricatti, e poi giustiziabile sull’altare della xenofobia, non di un folle, di un borderline, ma da un fascista. In quelle piazze di massa c’eravamo tutti: c’era la classe operaia, i lavoratori della logistica che conoscono bene il prezzo di essere immigrati nel nostro paese, e che da anni scioperano per condizioni di lavoro dignitose; c’erano i giovani delle periferie, dei quartieri popolari, che crescono insieme alle seconde generazioni migranti nelle scuole e nelle strade, e che fin da bambini conoscono la frustrante marginalità dovuta alle condizioni economiche delle proprie famiglie; c’erano gli studenti universitari accorsi da tutta Italia per urlare il rifiuto all’avanzata fascista, contro i rigurgiti di un finto ideale che meno di cento anni fa spinse i nostri nonni partigiani ad imbracciare le armi per spedire la feccia fascista nelle fogne. In quella giornata tra Piacenza e Macerata abbiamo vinto tutti noi che abbiamo conquistato le piazze a spinta per non permettere i comizi fascisti e l’equiparazione “democratica” dell’antifascismo militante con il fascismo. Dopo il nostro arresto sono seguite molte altre piazze antifasciste a Torino, Milano, Napoli, Palermo, Bologna.

Tra queste fredde mura era fonte di enorme calore assistere alla compattezza con cui non si è mai fatto un passo indietro: ogni volta che Casa Pound, Forza Nuova o Lega hanno tentato di fare un comizio la risposta sociale è sempre stata ostinata e radicale. Un grande grazie a voi, compagn@, per aver rotto la gabbia, per aver rotto le catene nel momento in cui sembravano stringersi. Noi ora dentro il carcere siamo come ostaggi nella rappresaglia dello stato contro i poveri, in una battaglia persa da Minniti, e che ora si serve dei tribunali per reprimere ciò che era giusto e naturale fare: scendere in strada e lottare. Il “pugno di ferro” che mi tiene in carcere con la sola accusa di resistenza è solo un pezzo di carta, e ben più gravi sono le accuse rivolte contro gli altri compagni! La liberazione di Mustafà mi ha riempito di gioia. Ora in cella siamo rimasti solo noi due, ma non siamo soli, e non lo saremo mai se fuori i compagni e le compagne antifascisti di tutta Italia continuano a manifestare il grande NO al fascismo proprio come abbiamo fatto in queste ultime settimane.

Stare in carcere non è semplice, ma la solidarietà e il rispetto degli altri detenuti non è mai mancato ed è stato sempre forte. Spero di poter tornare presto in libertà e di non aver perso il posto di lavoro e recuperare un po’ di tempo sottratto agli studi, ma soprattutto per tornare a vedere le piazze sempre più gremite, compatte e determinate ad opporsi contro la situazione politica che si è venuta a creare dopo le elezioni.
Ringrazio di cuore per tutti i telegrammi e le lettere da tutta Italia che sto ricevendo. Sono talmente tante che non so più dove metterle qua dentro! La vostra solidarietà mi tiene più vivo e più lucido!

A testa alta e a pugno chiuso!”

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