Ferrandelli racconta la sua Leopolda | “Un modello da esportare anche in Sicilia”

di Gabriele Ruggieri

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Ferrandelli racconta la sua Leopolda | “Un modello da esportare anche in Sicilia”

| lunedì 28 Ottobre 2013 - 16:18

Il centro nevralgico delle cronache politiche del fine settimana è stato senza dubbio Firenze, dove è andata in scena la terza edizione della Leopolda, la convention che riunisce nella vecchia stazione fiorentina i renziani di tutta italia. Spunti interessanti, sprazi di un futuro che vede nel sindaco di Firenze il candidato numero uno alla successione di Epifani alla segreteria del Partito democratico e colpi di spugna alle larghe intese hanno sfornato una gran quantità di titoli per i giornali. Fabrizio Ferrandelli ci ha raccontato la sua prima Leopolda, storia di un modello che si vorrebbe applicare in tutta l’Italia, dal governo centrale all’amministrazione dei piccoli comuni.

Come funziona la Leopolda? Cosa accade?

 Si inizia con una serie di incontri tematici. Ci sono cento tavoli, ognuno dei quali tratta un tema caldo per l’Italia, con un esperto, un provocatore, che ha il compito di ravvivare il dibattito e un moderatore. Ovviamente la partecipazione ai tavoli è libera. Il secondo è il giorno degli interventi. Una non stop a partire dalle nove del mattino, dove chiunque può prendere il microfono e avere i suoi quattro minuti a disposizione per parlare alla platea. La meraviglia del sistema partecipativo fa sì che chiunque abbia a disposizione lo stesso tempo anche dei big del partito. In fine c’è il report, la sintesi di Matteo Renzi, la parte più reclamizzata a mezzo stampa.

 Mancavano però le bandiere del Pd

 Le nostre bandiere sono i concetti, concetti che non possono limitarsi a un partito. Io stesso ci ho messo molto tempo per ritrovare nel metodo della Leopolda un modello che fosse a me congeniale. Quest’anno, invece, come mai prima d’ora, si tendeva a costruire piuttosto che a rottamare, per un’Italia partecipata. come ha detto lo stesso Renzi: “Se siamo qui significa che ci siamo capiti e che ci siamo modificati”.

 Un modello così partecipativo può essere applicato al Pd siciliano?

 Sarebbe una sfida interessante da lanciare a un Pd, quello siciliano, vecchio per certi versi, in cui si ha ancora paura del nuovo. Quello che ci si propone alla Leopolda, aprire il Pd, vuole dare linfa nuova al partito e vuole farlo attraverso soggetti che fino a poco tempo fa mai avrebbero pensato di poter aver a che fare con i big del partito. Quello siciliano è un Pd che deve affrontare tante questioni, in primis quella morale. Ho parlato a lungo, ad esempio, con Pif, il suo è stato uno stimolo.

 A questo proposito, la ritrovata armonia tra Lupo e Crocetta, proprio nel segno di Renzi, è sincera o durerà lo spazio di una stagione congressuale?

 Personalmente ho avuto molti scontri con Crocetta, penso ad esempio ai precari, al Muos, ma sempre per ragioni programmatiche. Non ho voluto mai, invece, entrare nel merito della polemica relativa alle poltrone. Ho anche definito un errore la direzione regionale del partito. Vorrei che contassero solo i contenuti, non le poltrone. Se un’area politica diversa decide di condividere una battaglia congressuale non significa un asservimento o un bavaglio per le nostre idee, anzi, non faremo sconti a nessuno. Siamo al governo da un anno, vorrei spegnere le candeline, non le speranze della gente. La vecchia classe dirigente, ormai rassegnata nell’aver fatto il suo tempo, non riuscirà a condizionarci.

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