“Corpi speciali” alla Galleria d’arte Rizzuto di Palermo | Una visione romantica della fragilità dell’essere umano

di Simona Pitarresi

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“Corpi speciali” alla Galleria d’arte Rizzuto di Palermo | Una visione romantica della fragilità dell’essere umano

| sabato 16 Novembre 2013 - 09:13

Sono i “Corpi speciali” i protagonisti della mostra personale di Turi Rapisarda, alla Galleria Rizzuto Arte di Palermo, a cura del critico Francesca Alfano Miglietti. L’universo e il punto di vista, ritratti con le loro caratteristiche di fragilità e unicità. Dalle sue fotografie ad emergere è una visione pura e romantica: Rapisarda descrive un mondo scomodo e ne rivela la sua drammaticità, attuando così quella che può definirsi una vera e propria narrazione di determinati tipi di umanità, stati mentali ed esistenziali.

La mostra è suddivisa in diverse “serie”. Troviamo una parte dedicata a “Alessia – Federica – Salvatore”: tre individui che vengono ritratti nudi, spogliati da ogni definizione e mostrati nella loro essenza.

Poi incrociamo “Bellissima”, la figlia di un’amica del fotografo ritratta anch’essa nuda all’età di cinque anni (durante lo scatto la madre era presente).

Andando avanti troviamo una tra le serie più note del fotografo: “Piante”. Qui uomini e donne sono ritratti di spalle, chinati in avanti, con i piedi in grandi pentole di acciaio. Il titolo della serie deriva dall’insieme combinato tra la postura degli individui e le pentole che ricordano delle piante, strappate dalla loro terra, private delle proprie radici e trapiantate altrove in una posizione di massima vulnerabilità.

In seguito troviamo la serie dei “Trespoli”. Quest’ultima è espressione della precarietà e dell’incertezza: la posa innaturale fa apparire gli individui ritratti come esseri vulnerabili.

La serie “Mani in alto+candele” comprende due diverse tipologie di foto che esprimono i due principali atteggiamenti di coloro che decidono di non ribellarsi: c’è chi si offre portando lumini e c’è chi si arrende alzando le mani.

La serie “Auto da fé” s’ispira al titolo di un romanzo del 1935 del premio Nobel svizzero Elias Canetti. Turi Rapisarda trae ispirazione dalla storia di quest’ultimo per creare immagini in cui una solitudine esasperata innesca paradossalmente il pensiero e la possibilità di un’appartenenza collettiva.

Infine, troviamo la serie dei “coatti”: il termine, utilizzato originariamente per indicare i delinquenti condannati alla detenzione presso la propria abitazione, acquisisce qui però una nota diversa. La prigionia descritta dal fotografo infatti è di tipo concettuale.

“Turi sa che l’arte e la realtà si influenzano a vicenda, le sue opere scelgono la frammentarietà, l’introspezione e la soggettività, in un atlante di orizzonti sentimentali che rappresentano piccole realtà, microcosmi personali nutriti di emozione, di intimità, della fragilità del sentire”, così descrive la mostra Francesca Alfano Miglietti, critico d’arte e scrittrice.

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