Trattativa Stato-mafia, è il giorno di Padellaro e Amurri | Per il direttore del Fatto “Mannino temeva per la sua vita”

di Redazione

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Trattativa Stato-mafia, è il giorno di Padellaro e Amurri | Per il direttore del Fatto “Mannino temeva per la sua vita”

| giovedì 09 Gennaio 2014 - 14:25

“Quando a luglio del ’92 incontrai Mannino mi trovai davanti un uomo agitato, spaventato. Pensava di essere nella lista degli obiettivi di Cosa nostra e che la sua vita era in pericolo”. Al processo sulla trattativa Stato-mafia è il giorno di Antonio Padelaro. Il direttore del del Fatto Quotidiano ha raccontato ai magistrati del suo incontro con Calogero Mannino e dei timori che nutriva dopo l’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima.

Proprio a causa di quei timori, Mannino, avrebbe, anche grazie ai suoi rapporti con i carabinieri del Ros, contribuito al dialogo nato tra pezzi delle istituzioni e la mafia. L’ex ministro, rinviato a giudizio con boss, esponenti dell’Arma, Massimo Ciancimino ed ex politici coinvolti, secondo l’accusa, nella trattativa, viene processato separatamente avendo scelto il rito abbreviato. “Quando ci vedemmo – aggiunge Padellaro – Mannino fece un’analisi molto accurata del contesto in cui maturò la strage di Capaci e mi parlò del maxiprocesso come di un punto di equilibrio di un nuovo rapporto politico.

Cosa nostra, mi fece capire Mannino, aveva offerto allo Stato la possibilità di ingabbiare la mafia perdente e in cambio la Cassazione avrebbe dovuto rimettere in liberta’ esponenti dei clan vincenti”. Nessuna delle richieste venne esaudita, “tanto è vero – aggiunge il giornalista – che ci fu l’omicidio Lima, segno che Cosa nostra era scesa in campo”. L’ex ministro avrebbe anche rivelato a Padellaro di essere stato “avvicinato” perché si battesse per attenuare le misure prese dallo Stato contro la mafia. “Mi disse – conclude – che lui non aveva voluto cedere e che per questo era stato messo nella lista nera”.

“Devi dire a De Mita che deve confermare la nostra versione perché a Palermo hanno capito tutto e questa volta ci fottono”. Furono queste parole, dette dall’ex ministro all’eurodeputato Giuseppe Gargani, il 21 dicembre del 2011, a Roma, a catturare l’attenzione della giornalista del Fatto quotidiano, Sandra Amurri che sta deponendo sull’episodio al processo sulla trattativa Stato-mafia. Il dialogo incuriosì la cronista che continuò ad ascoltare i due politici cercando di capire quali fossero le preoccupazioni di Mannino.

“Quel cretino del figlio di Ciancimino – avrebbe proseguito l’ex ministro – di cazzate ne ha dette tante, ma su di noi ha detto il vero perché il padre di noi sapeva tutto”. La conversazione assume un’importanza decisiva nella ricostruzione dei pm di Palermo che vedono in Mannino uno dei principali protagonisti della trattativa Stato-mafia. L’ex politico è sotto processo in abbreviato per minaccia a Corpo politico dello Stato, stessa accusa rivolta a otto degli imputati del dibattimento in cui sta deponendo la Amurri: ex parlamentari, militari del Ros e boss mafiosi.

Mentre l’ex ministro Mancino e Massimo Ciancimino rispondono rispettivamente di falsa testimonianza e concorso in associazione mafiosa. Amurri all’epoca della conversazione captata non sapeva che Mannino fosse coinvolto nell’inchiesta e non riconobbe Gargani che fotografò col cellulare. Poi avvertì l’ex pm Antonio Ingroia di quanto sentito e gli inviò la foto di Gargani che mostro anche ai colleghi del giornale successivamente. Quando, dopo alcuni giorni, lesse in un lancio di agenzia che Mannino era indagato per la trattativa Amurri capì il senso della conversazione da lei “intercettata”.

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