La Dia di Lecce sequestra beni per 2,5 milioni

di Redazione

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La Dia di Lecce sequestra beni per 2,5 milioni

| venerdì 14 Febbraio 2014 - 12:33

Gli uomini della Direzione Investigativa Antimafia di Lecce hanno sequestrato beni per un valore complessivo di circa 2,5 milioni a San Donato di Lecce.

Nel mirino degli investigatori è finito Mario Grande, 79 anni, già sorvegliato speciale e condannato tra l’altro negli anni Ottanta per aver organizzato in concorso con altri malviventi tre rapine ad istituti di credito e a un portavalori. Sono stati dunque sottoposti a sequestro 1 villa, 4 abitazioni, 1 palazzina con 4 appartamenti, 2 garage, 2 locali commerciali e numerosi terreni agricoli per complessivi 6 ettari a San Donato; 2 appartamenti a Torre dell’Orso; 2 appezzamenti di terreno in agro di Lecce e di Porto Cesareo.

A Mario Grande è stata addebitata una lunga sfilza di reati, che parte dal lontano 1955 con una condanna per furto, poi truffa, estorsione, falsità di titoli di credito, favoreggiamento personale, ricettazione. Sino agli anni Ottanta, quando Grande viene arrestato dopo le rapine ai danni di tre istituti di credito e a un portavalori. Arrestato e rimasto per circa dieci annni in carcere, Grande negli anni Novanta viene di nuovo condannato per avere corrotto i componenti di una commissione medica, allo scopo di agevolare la concessione dell’identità di accompagnamento a favore di alcune persone, in cambio di consistenti somme di denaro. Peraltro, lo stesso Grande già dal 1976 percepisce la pensione di invalidità.

Il provvedimento è stato emesso dal Tribunale di Lecce. Il sequestro nasce dalla valutazione di un’evidente sproporzione tra i redditi dichiarati da Grande e dai suoi familiari e l’ingente patrimonio a lui riconducibile. Secondo la Dia, immobili e terreni sarebbero stati acquistati e realizzati grazie ai proventi di attività illecite.

Considerato dagli inquirenti  “il boss di San Donato”, Mario Grande era temuto e rispettato anche negli ambienti criminali. Emblematica la vicenda raccontata da Giovanni Maiorino che, una volta uscito dal carcere, si era rivolto alla famiglia Tornese (clan ai vertici della Sacra Corona Unita) per ottenere il consenso su una serie di attentati dinamitardi da mettere in atto proprio nella zona di San Donato, territorio controllato all’epoca proprio da Grande.

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