Stato-mafia, la deposizione del pentito Fabio Tranchina: | “Graviano mi parlò di ‘impegni presi’ riferendosi alle stragi”

di Redazione

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Stato-mafia, la deposizione del pentito Fabio Tranchina: | “Graviano mi parlò di ‘impegni presi’ riferendosi alle stragi”

| mercoledì 12 Marzo 2014 - 16:08

“Graviano mi disse che avevamo degli impegni presi e alludeva alle stragi commesse e a quelle che si sarebbero dovute compiere. Mentre quando disse che forse poteva scoppiare una guerra voleva dire che in Cosa nostra c’erano due anime: una stragista e un’altra no”.

Sono le rivelazioni del pentito Fabio Tranchina, ex autista e addetto alla sicurezza del boss Giuseppe Graviano, ascoltato nell’aula bunker di Roma nell’ambito del processo sulla trattativa Stato-mafia. Il pentito è stato interrogato dai pm Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia.

Tranchina ha raccontato che nei mesi precedenti alla strage di Capaci fece un’osservazione su Giovanni Falcone, vedendolo in tv: “Il giudice era insieme alla scorta e dissi a Graviano: ‘Questo è inavvicinabile’. Lui mi guardò come a dire ‘aspetta che poi vedi come è inavvicinabile'”.

“Poco prima avevo visto caricare delle armi che erano destinate a un’azione eclatante a Roma – ha aggiunto – Capii allora che si dovevano usare per colpire il magistrato, ma poi non se ne fece nulla”. Il progetto di eliminare Falcone nella Capitale venne accantonato e Cosa nostra decise di ucciderlo mentre ritornava a Palermo percorrendo l’autostrada, a Capaci. “Qualche giorno prima della strage di Capaci – ha spiegato Tranchina – Graviano mi disse di non passare per un po’ sull’autostrada. Io avvertii anche i miei familiari che avevano una villetta nella zona”.

“Graviano quasi si giustificava dell’attentato a Falcone – ha rivelato il pentito – e mi diceva che ‘la gente non si lamenta di quello che è accaduto, perché in fondo muoiono più persone con gli incidenti'”.

Tranchina si è poi sfogato facendo riferimento alla strage di via D’Amelio: “La strage in cui morì il giudice Borsellino, ma anche fatti come l’attentato al vicequestore Germanà, sono fatti che mi hanno sconvolto la vita. Io dovevo solo occuparmi della latitanza di Graviano e mi sono ritrovato in mezzo ad altre cose”.

“Il giorno dell’arresto di Totò Riina – ha continuato Tranchina -, Graviano era molto giù e mi disse: ‘Noi siamo tutti figli di questo cristiano. Ora potrebbe scoppiare una guerra, ma tu stai tranquillo. Con Riina abbiamo preso degli impegni. Noi abbiamo le nostre garanzie. O fanno quello che diciamo noi o gli rompiamo le corna’. Quando parlò di garanzie indicò con la mano verso l’alto”.

“Graviano – ha raccontato Tranchina – mi disse di essere certo che che nel covo in cui incontrava Riina non c’erano microspie perché altrimenti il blitz l’avrebbero fatto lì e non avrebbero arrestato Riina altrove visto che nel nascondiglio avrebbero potuto prendere altri mafiosi e visto che c’erano tanti soldi che si poteva comprare tutta la Sicilia”.

“Sulle garanzie a cui accennò Graviano – ha detto Tranchina – non approfondii il discorso, né mi fece i nomi dei soggetti che dovevano fare quel che dicevamo noi”.

Prima di Tranchina ha terminato la sua deposizione Paolo Bellini, l’ex pentito ed esponente di Avanguardia Nazionale. “Non ho mai pensato di fare un attentato alla torre di Pisa – ha detto il teste -. La storia dell’attentato all’opera d’arte l’ha buttata lì Antonino Gioè. Lui riteneva che chi mi mandava a recuperare le opere d’arte non fosse proprio serio”. Bellini ha poi rivelato che Gioè gli confessò “l’esistenza di una trattativa con i piani alti del governo”.

La deposizione di Tranchina è terminata oggi e la seduta è stata sospesa. Il dibattimento riprenderà giovedì mattina con l’esame del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza.

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