La parentela con un boss non è “sinonimo di infiltrazione mafiosa” | La sentenza dei giudici del Tar di Palermo

di Markez

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La parentela con un boss non è “sinonimo di infiltrazione mafiosa” | La sentenza dei giudici del Tar di Palermo

| martedì 22 Aprile 2014 - 08:24

Si era aggiudicata l’appalto per ristrutturare una chiesa in Corso dei Mille con un appalto di 500 mila euro. La Crs Costruzioni srl aveva avuto i lavori per la chiesa Madonna delle Grazie in Corso dei Mille.

Un progetto per la ristrutturazione del complesso di tutti gli ambienti e l’eliminazione delle barriere architettoniche, realizzando gli impianti tecnologici, restauro dei prospetti.

Ad affidare il Comune di Palermo assistita nel ricorso dall’avvocato Adriana Masaracchia. Una volta affidata però la prefettura aveva inviato un’informativa antimafia del 4 ottobre 2012. Alla luce della informativa il settore opere pubbliche del Comune il 12 novembre dello stesso anno rescindeva il contratto.

Contro tutti questi provvedimenti la società edile ha presentato ricorso al Tar di Palermo. I giudici della prima sezione del Tar presieduta da Filoreto D’Agostino (estensore Caterina Criscenti, Consigliere e Luca Lamberti referendario) hanno accolto il ricorso e restituito di fatto l’appalto alla ditta di Belmonte Mezzagno.

Con la nota del 4 ottobre 2012 la Prefettura di Palermo aveva comunicato che a carico della CRS Costruzioni srl c’era il rischio concreto di infiltrazioni.

Nella ditta, di proprietà della famiglia Corsale, vi è come socio Ciro Corsale che “è zio acquisito del noto boss Spera Antonino – si legge nella sentenza – (avendo quest’ultimo sposato Anna Corsale Anna, figlia del fratello di Ciro) capo mandamento del Comune di Belmonte Mezzagno, condannato a 16 anni di reclusione per associazione mafiosa ed attualmente detenuto” ed a sua volta Spera “è nipote in primo grado del noto boss Benedetto Spera, condannato alla pena dell’ergastolo”.

Sulla base di tale questi elementi la Prefettura aveva ritenuto che “la peculiarità di un contesto socio-economico quale quello di Belmonte Mezzagno fortemente influenzato dalla malavita organizzata – aggiunge la sentenza – la delicata attività imprenditoriale ed il legame di parentela dei soci/amministratori con soggetti di notevole pericolosità sociale del luogo, costituiscono nel loro insieme, elementi sintomatici di una possibile ingerenza della criminalità organizzata nella gestione della ditta”.

Per la ditta Crs solo “un giudizio di permeabilità – si legge ancora nella sentenza – alla luce del solo rapporto parentale, anzi più esattamente di affinità, che lega, peraltro, solo uno dei quattro soci, Corsale Ciro, della società ricorrente con un unico soggetto controindicato, senza alcuna valutazione sull’attualità e concretezza del pericolo di infiltrazioni, attribuendo così al rapporto parentale un inammissibile automatismo presuntivo”.

Per i giudici del Tar la sola parentela non basta stabilire un grado di permeabilità mafiosa. “È assolutamente consolidata la giurisprudenza amministrativa nel ritenere – dicono i giudici – che il puro rapporto di parentela, o affinità con soggetti che hanno precedenti penali o comunque ritenuti in possibile contiguità con la malavita organizzata non è di per sé sufficiente a stabilire l’ipotesi della sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, essendo necessari anche altri elementi, sia pure indiziari da fornire obiettivo fondamento al giudizio di possibilità che l’attività d’impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata”.

Alla luce della sentenza la prefettura di Palermo è stata condannata al pagamento delle spese processuali quantificate in 2 mila euro.

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