Adozioni gay, se manca l’opinione di massa

di Eugenia Nicolosi

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Adozioni gay, se manca l’opinione di massa

| lunedì 01 Settembre 2014 - 17:50

Qualche giorno fa il tribunale di Roma ha approvato per la prima volta l’adozione di una bimba da parte di due persone dello stesso sesso ma, volendo precisare, una delle due mamme è la genitrice biologica e la sua compagna ha adottato la bimba.

Ovviamente, in un paese come l’Italia, divisa tra il perbenismo bigotto e l’anticonformismo forzato, la notizia ha prodotto sulla massa e sui media lo stesso frastuono di una bombola del gas che esplode alla signora del piano di sotto alle tre del pomeriggio.

Si sono scatenate le reazioni – non tutte negative – di molti. Dai partiti politici alle associazioni, fondazioni e ça va sans dire la Chiesa, le diatribe hanno fatto da scenario al caro, vecchio spettegolare selvaggio dell’uomo comune. Perché l’uomo comune è il primo della prima fila quando si tratta di dare opinioni su argomenti caldi caldi, opinione che quasi mai é il risultato di riflessioni profonde e ancora più raramente è supportata da argomentazioni valide.

Per la serie: “Se Dio avesse voluto che una coppia gay avesse un bambino…”.

Pertanto, la delicatezza dell’argomento, richiede almeno il tempo di una lettura – breve, giuro –  di un post che non vuole essere anticonformista o antireligioso, ma che può essere di stimolo ad un dibattito. Perché l’opinione della massa, l’opinione dell’italiano medio, quello che la domenica va allo stadio, non é ancora stata ascoltata. Probabilmente perché non c’è ma, forse, perché nessuno gliel’ha chiesta.

Il presupposto è il seguente.

Voler adottare un bambino è: A) fare le cose per bene. Nel caso di un’unione lesbica una delle due donne potrebbe aggirare l’ostacolo con una naturalissima gravidanza (sì, anche le lesbiche hanno utero, ovaie, ciclo, etc.). B) dare amore ad un essere umano che nella migliore delle ipotesi vivrebbe in una casa famiglia e nella peggiore morirebbe di fame o sete dopo essere stato abbandonato da chi non lo desiderava e non ha potuto – o voluto – abortire e non ha potuto – o voluto – affidarsi alle cure degli assistenti sociali.

In questo ambito e volendo essere pignoli, anche in tutti gli altri, sono ancora troppe le persone che associano l’omosessualità ai suoi simboli. Una coppia di uomini gay non crescerebbe un bambino a suon di Barbra Straisand ballando avvolta in piume di struzzo né una coppia di donne gay insegnerebbe alla propria bambina a odiare gli uomini e a tatuarsi draghi sull’avambraccio.

La prospettiva certa è che il piccolo essere umano non avrebbe difficoltà, da adulto, a ritenere ‘normale’ l’unione tra due persone dello stesso sesso e, mi domando, se non sia proprio questo ad essere un elemento di disturbo. Si, c’è chi afferma che è la natura stessa a provvedere e a donare un figlio a chi è biologicamente in grado di farlo. Ma chi stabilisce se una coppia etero sia all’altezza del compito anche emotivamente o psicologicamente? Le coppie eterosessuali non hanno uno psichiatra che vive con loro – spesso hanno già le suocere – per assicurarsene, né qualcuno che decide se possono assumersi la responsabilità della vita di un bambino.

Dunque secondo questa logica una coppia etero è sempre e comunque all’altezza. Dunque una ragazza madre da sola non lo é o ancora, una donna che porta a termine una gravidanza e si scopre innamorata di un’altra donna lo è ancora meno?

Indipendentemente dalle preferenze sessuali (leggasi ‘preferenza’ e non ‘malattia’) degli adottanti però, ho scoperto che l’adozione ha dei costi spropositati e dei tempi lunghi, ma così lunghi, che spesso alla coppia viene sconsigliato di procedere con la richiesta perché nel frattempo ha festeggiato le nozze d’argento.

Le adozioni internazionali poi, ossia quelle che prevedono che tu trascorra dai quattro ai sei mesi nel paese natale del (se Dio vuole) tuo futuro bimbo, sono praticamente ad esclusivo appannaggio di milionari con un sacco di tempo libero che oltretutto conoscono le lingue e vantano tra i loro amici più cari ambasciatori e consoli.

Premesso che il ‘regalino’ che farai all’ente che se ne occupa non é quasi mai inferiore a dieci/dodicimila euro, aggiungiamo le spese di viaggio & trastullo in loco, la documentazione da produrre, le traduzioni e l’interprete che tu devi procurarti, i colloqui con le ambasciate e, come se non bastasse, le ‘torture psicologiche’ (dicono) alle quali tu, candidato genitore, vieni sottoposto.

Senza contare che al termine della suddetta guerra ti aspettano anni di, nell’ordine: urla nella notte, pannolini puzzolenti, la faccia di Hello Kitty e la sigla di Peppa Pig, papà-voglio-il-motorino, pagelle insoddisfacenti, fidanzati/e che odierai, amici bivaccanti sul tuo divano e – se sei fortunato – solo quando avrà quarantacinque anni e tu ottanta arriverà il papà-mi-sposo. Momento in cui ti mancherà l’aria per la commossa gioia di poter riprendere in mano la tua vita e il telecomando della tv.

Desiderare qualcosa del genere é o non é una prova d’amore? Domandiamoci cosa spinge una coppia formata da due persone dello stesso sesso a voler costruire una famiglia, se non l’amore per la vita e la fiducia nella famiglia stessa, come istituzione e come fondamento di una società sana e ricca di valori. E domandiamoci cosa ne pensiamo, per una volta, lasciando da parte i talk show.

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