Renato Schifani e la mafia, un’inchiesta lunga 15 anni

di Redazione

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Renato Schifani e la mafia, un’inchiesta lunga 15 anni

| martedì 28 Ottobre 2014 - 18:53

“Ho sofferto in silenzio. Erano accuse che non reggevano”. Ora che il caso è chiuso Renato Schifani, ex presidente del Senato, spezza il riserbo per dire di avere vissuto con disagio la condizione di un uomo pubblico “sfiorato, seppur ingiustamente, da gravi ombre di illegalità”. Era accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.

L’indagine, cominciata 15 anni fa, è durata quattro anni. Era stata già archiviata, poi riaperta nel 2010, quindi ampliata con un supplemento d’indagine disposto dal gip Piergiorgio Morosini che non aveva accolto una richiesta di archiviazione della Procura. Ora un altro gip, Vittorio Anania, ha deciso di archiviarla, come chiedevano i pm Paolo Guido e Nino Di Matteo.

Schifani era accusato di avere avuto relazioni con personaggi del grande giro mafioso. I rapporti risalgono all’epoca in cui l’esponente del Nuovo Centrodestra esercitava la professione di avvocato esperto di diritto amministrativo. Ne hanno parlato alcuni collaboratori di giustizia, tra cui Gaspare Spatuzza, Francesco Campanella e Stefano Lo Verso. La sostanza dell’accusa puntava sul fatto che Schifani avrebbe dato al boss Nino Mandalà e al figlio Nicola indicazioni su possibili manipolazioni del piano regolatore di Villabate, un paese alle porte di Palermo, per venire incontro alle esigenze di gruppi imprenditoriali legati a Cosa nostra. Ma si tratta, ha scritto il gip Anania, di relazioni riconducibili alla sfera professionale di Schifani che non avrebbe avuto neanche consapevolezza della “effettiva caratura mafiosa dei suoi interlocutori”. Nino Mandalà era allora incensurato.

Si tratta comunque di fatti vecchi per i quali scatterebbe la prescrizione. Nessun valore viene infine attribuito alle chiacchierate in carcere di Totò Riina secondo cui Schifani “è una mente” e il suo paese “era mandamento nostro”. “Ho pagato un grande prezzo – ha commentato l’ex presidente del Senato – ricompensato tuttavia dal trionfo della verità” a conclusione di un’indagine che metteva in discussione la sua correttezza deontologica. Ha pagato, ha ribadito, la “fiducia nella magistratura”. È quello che viene sottolineato nelle attestazioni arrivate a Schifani dal mondo politico.

Per il ministro Angelino Alfano, con il quale ha condiviso l’uscita da Forza Italia e la formazione del Ncd, “la realtà ha avuto il sopravvento sulle accuse evidenziando la correttezza del suo comportamento e la serenità con cui ha atteso la chiusura dell’inchiesta”. Il suo, ha aggiunto Gaetano Quagliariello coordinatore del Ncd, è stato un “comportamento esemplare”, la dimostrazione su come “si può fare politica in maniera diversa, come servizio”. Fabrizio Cicchitto, oltre a ricordare che l’ex presidente del Senato “è rimasto sulla graticola per quattro anni”, ha rivolto una critica al gip Morosini, ora componente del Csm, che aveva chiesto per due volte un supplemento di indagine per interrogare alcuni pentiti. Tutti alla fine “hanno dichiarato di non conoscere Schifani e di non sapere nulla di lui”. 

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