Stato-mafia, “I magistrati violano la legge” | Esposto di Mori, Obinu e De Donno

di Redazione

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Stato-mafia, “I magistrati violano la legge” | Esposto di Mori, Obinu e De Donno

| giovedì 19 Marzo 2015 - 17:10

Indagini infinite, a dispetto dei limiti di legge, deleghe di inchieste delicatissime affidate a investigatori che non avrebbero i titoli, pm che indagano su fatti di mafia nonostante da tempo non facciano più parte della direzione distrettuale antimafia, fughe di notizie, indebite intercettazioni di conversazioni con i difensori, costose rogatorie internazionali e spese eccessive.

Un lungo l’elenco quello delle violazioni che i legali degli ufficiali dei carabinieri Mario Mori, Mauro Obinu e Giuseppe De Donno hanno indicato in un esposto indirizzato al ministro della Giustizia, al vicepresidente del Csm, alla Procura generale della Cassazione, titolare dell’azione disciplinare contro le toghe e alla Procura della Corte dei Conti, competente in caso di danno erariale.

L’esposto, annunciato oggi durante il processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, in cui Mori e De Donno sono imputati, in realtà non fa nomi e cognomi dei pm che avrebbero commesso le violazioni. Ma una lettura delle sei pagine della denuncia non lascia dubbi: il riferimento è al pool che indaga sulla trattativa e a chi in passato istruì il processo per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano, pendente in appello a carico di Mori e del colonnello Mauro Obinu. Il riferimento è ai pm Nino Di Matteo, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. Ma non solo. In ballo viene tirato anche l’ex capo dell’ufficio inquirente, Francesco Messineo, che ha consentito, sempre secondo i legali, che magistrati “scaduti” dal”la dda come Di Matteo e Del Bene continuassero a incardinare inchieste di mafia.

Nell’esposto gli avvocati Enzo Musco, Basilio Milio, Giuseppe Saccone e Francesco Romito, chiedono al ministro di inviare gli ispettori al Palazzo di Giustizia di Palermo “per verificare la sussistenza di violazioni di legge e anomalie oggettive e soggettive nell’espletamento delle indagini (che conducono, oltretutto, a duplicazioni di processi assolutamente identici, con dispendio di enormi risorse per lo Stato), per fatti che sarebbero prescritti e nel loro affidamento a soggetti che non sarebbero legittimati a esperirle”. Tra le “censure” mosse ai pm i difensori inseriscono l’uso “abnorme” dell’attività integrativa di indagine, che consente alla Procura di procedere negli accertamenti utili anche a termini di indagini scaduti. “È evidente la violazione del diritto di difesa – dicono – atteso che si è costantemente costretti a inseguire le virate della pubblica accusa, laddove il processo, seppure nella dinamicità della sua natura accusatoria, dovrebbe servire a vagliare la fondatezza di un’ipotesi accusatoria formulata a monte, non continuamente mutevole”. Sotto accusa anche l’ascolto delle conversazioni tra gli imputati e i legali e la diffusione delle notizie sulla rogatoria in Sudafrica che ha avuto anche “oneri finanziari non indifferenti per lo Stato”

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