“Braccialetti rossi” e l’esperienza in reparto | Quando la fiction aiuta a combattere la malattia

di Delia Russo

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“Braccialetti rossi” e l’esperienza in reparto | Quando la fiction aiuta a combattere la malattia

| martedì 07 Aprile 2015 - 10:17

Lavoro come medico in Oncoematologia pediatrica da circa 20 anni. L’altro giorno ho dovuto ricoverare per una polmonite una ragazza di 14 anni affetta da leucemia. La ragazza non si ricoverava da mesi perché è in terapia di mantenimento, che prevede soltanto controlli clinici, esami e terapia orale. Qualche anno fa una notizia del genere avrebbe innescato pianto e disperazione, soprattutto in questa fase di terapia, quando sono finalmente ricresciuti i capelli, è stato rimosso il catetere venoso centrale e la ragazza ha ripreso una vita normale. Invece, miracolosamente, la ragazza sorride ed esclama “e vai, come braccialetti rossi!”.

Un’altra ragazza arriva in reparto per accertamenti. Ha una lunga storia di sintomi fastidiosi quali prurito e sudorazione. Ha perso peso, ha subito visite ed esami prescritti da tanti specialisti senza però risolvere il problema, un po’ come Nanni Moretti nell’episodio “Medici” di “Caro Diario”, per intenderci. Dobbiamo informare lei e la famiglia che tutto ciò è imputabile a un tumore che si chiama linfoma. In questi casi il colloquio avviene in un ambiente protetto insieme ai genitori e ad eventuali fratelli, coinvolge varie figure professionali, dal medico all’assistente sociale allo psicologo. La ragazzina ci guarda felice: “E vai, come braccialetti rossi!”. La madre annuisce e conferma. “È fissata con questo telefilm”.

BRACCIALETTI ROSSI 2: L’ULTIMA PUNTATA

Torno a casa perplessa, in fondo è andata bene e per curiosità guardo un episodio della famosa serie tv. In generale quando non lavoro, come sarà facile comprendere, non amo distrarmi con libri o film che abbiano come tematiche tumori, chemioterapie, lutti, disastri e tragedie. Il telefilm mi sembra positivo: parla di buoni sentimenti, di bambini e adolescenti che lottano quotidianamente per ottenere la guarigione da malattie potenzialmente mortali. È la vita che irrompe prepotentemente con la forza dei sentimenti di amore, amicizia e solidarietà. Per quel che mi riguarda dà una visione edulcorata e semplicistica delle cose che viviamo nel quotidiano, ma la serie pone i riflettori sui tabù di questo mondo che fa paura a tutti e apre uno spiraglio sulla vita di persone sottoposte a prove molto faticose.

Il risultato finale è che i bimbi e le loro famiglie non si sentono più da soli. Parlo anche dei bimbi guariti ormai adulti, quelli che un tempo con una brutta parola venivano chiamati i “lungo sopravviventi” e che oggi sono medici, biologi, avvocati, baristi, ingegneri, hostess, parrucchieri, poliziotti, sono una parte della società insomma, cui ho chiesto per curiosità e che mi hanno confermato di aver apprezzato la serie tv.

E quindi, da qualche tempo, su Facebook è tutto un capolino gioioso di lucide piccole pelate di miei pazienti che mi hanno chiesto l’amicizia, che escono allo scoperto per urlare al mondo “io ci sono, esisto, sono sempre io, anche se mi sono caduti i capelli perché sto facendo chemioterapia”. Smesse bandane e foulard, lanciati in aria cappellini, i bambini non si vergognano più e lo fanno vedere. E fanno le cose che fanno i bambini. Il telefilm pare sublimare il viaggio del bambino alla stregua del viaggio dell’Eroe, come da migliore tradizione, cui l’individuo si identifica e che in questo caso è impersonato dai protagonisti di Braccialetti rossi.

Entro nella stanza di un ragazzino cui sono stati rasati da pochissimo i capelli perché li ha persi a ciocche dopo la chemio. Ha gli occhi gonfi perché ha pianto tanto per questo motivo. Mi fa comunque un sorriso perché gli faccio simpatia. Evidentemente a lui non importa nulla di Braccialetti rossi. Utilizzo allora le consolidate parole di conforto e speranza insieme alle spiegazioni scientifiche, le solite in tutti questi anni.

Braccialetti Rossi e non.

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(tratto da diPalermo.it)

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