Migranti, la via dei Balcani per arrivare al Nord| Una vicenda che marcherà la storia dell’Europa

di Giuseppe Citrolo

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Migranti, la via dei Balcani per arrivare al Nord| Una vicenda che marcherà la storia dell’Europa

| martedì 08 Settembre 2015 - 17:33

Aieh è una bambina siriana di due anni e si trova su un treno che attraversa la Macedonia; la madre vuole portarla in Germania per farla operare al cuore. Il padre, medico in un ospedale di stato siriano, era fuggito in Yemen per le persecuzioni di Assad e di lui non si hanno notizie.

Hussein è un giovane iracheno di 26 anni. Si trova ad Idomeni, cittadina al confine settentrionale della Grecia. Laureato in informatica, viveva a Baghdad e non vedeva un futuro in patria. Ha lavorato in una palestra per pagarsi il viaggio in Europa.

La famiglia Majid è curdo-siriana; sono arrivati nella cittadina serba di Presevo, dal nord-est della Siria, per sfuggire alle persecuzioni islamiste; un lungo viaggio li ha portati dalla Turchia a Lesbos e poi in Macedonia ed in Serbia; vogliono andare in Ungheria.

Ayman Sleem è anche lui siriano ed è arrivato alla frontiera tra Grecia e Macedonia. Era agiato, aveva due farmacie e ha perso tutto con la guerra civile. Ben vestito, inglese fluente, racconta il suoi viaggi per mare dalla costa turca a Rodi a poi ad Atene.

Migliaia di storie, come queste raccolte e diffuse in rete, si fondono nel fiume della migrazione che passa per i Balcani diretta al nord Europa.

“Siamo di fronte alla più grave crisi migratoria dalla fine della Seconda guerra mondiale”, commenta Dimitris Avramopoulos, Commissario europeo all’immigrazione. E quello balcanico è un esodo di dimensioni impressionanti, paragonabile alla via parallela tra Libia e Italia: 180.000 persone sono sbarcate sulle coste greche nel 2015; 3.000 persone al giorno varcano il confine tra Grecia e Macedonia; 90.000 sono passati attraverso la Serbia in questi mesi; oltre 80.000 richieste di asilo sono state registrate in Austria; in Germania si preparano all’arrivo di 800.000 profughi entro la fine dell’anno.

La maggior parte dei migranti che intraprendono il viaggio per i Balcani e l’Europa sono Siriani che fuggono dalla guerra civile che sta devastando il loro paese; ma ci sono anche afghani, pakistani, iracheni, somali ed eritrei. Sbarcano sulle isole greche dalla Turchia e poi risalgono la Grecia, la Macedonia, la Serbia e l’Ungheria diretti in Europa occidentale; quasi tutti sognano di raggiungere la Germania.

Un vero e proprio consorzio internazionale di bande criminali gestisce la via dei Balcani: le mafie turche, kosovare, montenegrine, russe e perfino cinesi si sono spartite il traffico dei migranti ed i lauti guadagni che ne derivano. Prezzi competitivi e minori rischi per mare convincono molti a scegliere questa rotta per l’Europa; il trasferimento dalla Turchia ai confini dell’Ungheria costa dai 1.000 ai 4.000 dollari: un giro d’affari da mezzo miliardo in pochi mesi.

I paesi sulla via dei migranti stanno reagendo in ordine sparso. Il denominatore comune sembra lo scaricabarile, nell’impossibilità di organizzarsi adeguatamente per un flusso tanto imponente: si cerca di sbarrare il passo ai migranti alla frontiera, giusto il tempo per organizzare i trasferimenti sino alla frontiera del paese successivo.

E così in questi giorni si assiste a tante scene di gestione disordinata della crisi: folle di disperati assiepano stazioni e punti di raccolta, ove a volte faticano ad arrivare acqua e cibo; i militari Macedoni hanno tentato per qualche giorno la linea dura al confine greco per impedire ai profughi di entrare e poi li hanno lasciati salire sui treni diretti in Serbia. I Serbi hanno organizzato pullmann o treni stipati all’inverosimile per accompagnare i profughi al confine con l’Ungheria.

Il governo ungherese sta blindando il confine con la Serbia con una barriera di 175 chilometri; cerca di fermare i migranti, mentre a Budapest le richieste d’asilo hanno superato quota centomila. Se nessun paese europeo è immune dalla retorica politica contro gli immigrati, declamata a gran voce dai tanti movimenti populisti ed estremisti, in Ungheria il governo conservatore di Viktor Orban, in declino di popolarità, si è impadronito del tema. La barriera ne è il risultato pratico, mentre l’inquietante proposta di organizzare dei campi di detenzione per gli immigrati non ha avuto seguito, dopo una levata di scudi da tutta Europa.

Il paese di destinazione finale della maggior parte dei migranti è la Germania. Angela Merkel ha formalmente richiamato Italia e Grecia ai loro doveri di organizzare i centri di accoglienza ed applicare i controlli previsti dai trattati, che prevedono tra l’altro il rimpatrio di chi non ha diritto all’asilo in Europa. Ma ha anche capito che le dimensioni del flusso migratorio non consentono di discettare oltre a Bruxelles e che bisogna organizzarsi per non essere travolti dagli eventi: malgrado le pressioni e le manifestazioni dell’ estrema destra neonazista, qualche giorno fa l’esecutivo tedesco ha deciso di sospendere il Trattato di Dublino, che bloccherebbe i migranti siriani nei paesi europei in cui sbarcano.

Comunque, sono quattro milioni i Siriani che affollano i campi di accoglienza ai confini del loro paese. E milioni di altri vivono in condizioni disagiate in Asia ed Africa. Le vie d’ingresso in Europa sono aperte, i rischi del viaggio sono alti, ma i costi accessibili. E’ una vicenda che marcherà la storia dell’Europa: un’opportunità per dimostrare la capacità di accoglienza e di integrazione in un continente segnato negli ultimi anni da una grave crisi economica che ne ha già messo a dura prova la coesione politica.

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