Libia, la difficile strada della pacificazione

di Giuseppe Citrolo

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Libia, la difficile strada della pacificazione

| mercoledì 23 Dicembre 2015 - 07:30

Giovedì 17 dicembre i rappresentanti del Parlamento di Tripoli e del Parlamento di Tobruk hanno siglato in Marocco un accordo per la nascita di nuove istituzioni di unità nazionale. Alla cerimonia della firma erano presenti circa 130 membri dei due parlamenti, su un totale di oltre 300, oltre che sindaci e leaders tribali. Sedevano al tavolo anche rappresentanti dell’Onu e di 16 paesi stranieri, tra cui l’Italia. Il governo italiano, presente con il ministro degli esteri Gentiloni, è stato uno dei più attivi sostenitori dell’accordo. L’incontro preparatorio di Roma era stato fortemente voluto dall’Italia, per l’evidente interesse strategico del nostro paese.

I negoziati preparatori sono stati particolarmente complessi a causa dell’elevato numero di parti in causa. La Libia è infatti oggi divisa tra due governi rivali che si affrontano per la supremazia sul paese: ad est il governo di Tobruk (sostenuto dall’esercito del generale Khalifa Haftar, dall’Egitto ed Emirati Arabi Uniti) e, ad ovest, il governo islamista di Tripoli dei Fratelli Musulmani sostenuto dalla Turchia e dal Qatar. L’Isis, con circa tremila combattenti, è riuscito ad incunearsi tra le due fazioni e controlla la fascia costiera nel centro del paese attorno alla città di Sirte. Il quadro è poi ulteriormente complicato dalla presenza di un numero di milizie e tribù presenti nel paese a macchia di leopardo: l’organizzazione islamica Ansar al Sharia, vicina al governo di Tripoli, controlla Dema nell’est del paese e combatte a Bengasi l’esercito di Tobruk; milizie locali sono installate in alcune città nel distretto di Misurata; infine, tribù Tuareg controllano l’interno desertico del paese, ad ovest lungo il confine con l’Algeria.

L’accordo siglato in Marocco prevede un consiglio presidenziale ed un governo di transizione, che dovranno traghettare il paese a nuove elezioni parlamentari entro due anni. Fayez el Sarraj, parlamentare a Tobruk, guiderà il nuovo governo di transizione con sede a Tripoli. Comunque, l’inviato Onu Martin Kobler ha commentato l’evento con realismo: “E’ l’inizio di un duro lavoro e la porta rimane aperta per chi vuole unirsi all’iniziativa”, ha detto, aggiungendo che “si continuerà a lavorare per ampliare le basi dell’accordo”. Infatti la cerimonia è stata boicottata dalle ali oltranziste dei due parlamenti e da alcune milizie.

I presidenti dei due Parlamenti si erano incontrati a Malta pochi giorni prima; entrambi si sono dichiarati contrari, negando l’utilità di “imporre la nascita di un terzo Governo in un paese che ne ha già due, piuttosto che favorire i colloqui tra le autorità rivali”. Il primo appuntamento per il nuovo consiglio presidenziale saranno le delicate trattative per la nomina dei ministri, da affiancare al capo del governo designato. Il passo successivo sarà l’insediamento a Tripoli, la capitale del paese. Anche questo è un problema aperto, perchè nella città sono presenti gruppi armati, alcuni dei quali esplicitamente contrari all’accordo.

In questi ultimi dieci giorni, ci sono stati parecchi scontri a fuoco tra fazioni rivali: una situazione di tensione che fa presagire la difficoltà per il nuovo governo di agire in condizioni sufficienti di sicurezza. L’Onu ha affidato al generale italiano Paolo Serra il compito di condurre i colloqui con i capi delle milizie per cercare di trovare un accordo sull’insediamento del governo. La priorità successiva sarà poi il riavvicinamento alle fazioni oggi contrarie; il processo, il cui successo è tutt’altro che scontato, potrebbe durare mesi. Soltanto dopo le nuove istituzioni saranno sufficientemente solide per affrontare l’Isis, come auspicano i paesi occidentali.

Subito dopo la firma il governo britannico si è detto pronto a inviare fino a mille uomini come parte di una spedizione internazionale; ha anche lasciato intendere di essere pronto a raid aerei sul territorio libico per colpire l’Isis. Il ministro Gentiloni ha ribadito che l’Italia è pronta ad inviare militari in Libia; si parla di una forza di 4.000 soldati. Non sembra però che l’intervento occidentale possa iniziare a breve. Una ragione su tutte: è necessaria la richiesta ufficiale da parte delle nuove istituzioni libiche, che in questi giorni sono già state accusate di essere una pedina delle potenze europee; una richiesta immediata di aiuto alla Libia rischierebbe di irrigidire la posizione delle fazioni ostili. E mandare truppe senza il beneplacito delle milizie locali significherebbe impegnarle in una missione di combattimento, con perdite potenziali sul terreno.

Ad oggi, la migliore delle ipotesi è che le nuove istituzioni riescano a coinvolgere nei prossimi mesi la maggioranza delle fazioni libiche nel nuovo progetto di unità nazionale. Soltanto dopo, i paesi occidentali potranno inviare in Libia una missione militare con compiti di addestramento e di messa in sicurezza di città, porti ed infrastrutture. Istituzioni locali più salde politicamente ed appoggiate militarmente dall’Occidente, potrebbero a tal punto rivolgere la propria attenzione all’Isis e all’area di Sirte. Insomma, resta ancora molto da fare perchè la nuova Libia, nata il 17 dicembre, affermi la sua supremazia sul paese e contrasti l’Isis nelle sue roccaforti nella regione della Sirte.

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