Germanà, l’eroe silenzioso della vera antimafia | Medaglia d’oro per sanare un debito con la storia

di Guido Monastra

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Germanà, l’eroe silenzioso della vera antimafia | Medaglia d’oro per sanare un debito con la storia

| sabato 28 Maggio 2016 - 08:06

Alla fine la Medaglia d’oro al Valore Civile è arrivata. Finalmente, ci sarebbe da aggiungere. Per sanare un debito con la storia che durava da 24 anni. Per soddisfare il legittimo orgoglio di un servitore dello Stato. Per riconoscere l’eroismo di un Uomo con la U maiuscola, sempre e comunque al servizio dello Stato. Per comprendere e spiegare che molto spesso gli eroi dell’antimafia, quella vera, sono i “soldati” che assolvono al proprio dovere senza circondarsi di parole, spesso vuote, ed etichette spesso abusate ed abusive.

Rino Germanà. Quanti conoscono questo nome, tra i non addetti ai lavori? Pochi. Eppure Rino Germanà è davvero un’icona dell’antimafia, nel senso che ha combattuto in trincea, ha avuto il fiuto per scoperchiare le pentole giuste, ha fatto “danni” alla mafia con le sue indagini anche prima e dopo il giorno dell’agguato, nemico giurato non solo degli scagnozzi armati ma anche degli occulti “colletti bianchi” che “firmarono” pagine molto scure di quei drammatici anni di fine secolo. Ma Rino Germanà aveva un difetto insormontabile: non amava le interviste, non andava in Tv, non si “atteggiava”, non issava il pennacchio dell’antimafia. Era ed è rimasto umile. Ci piace immaginare che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, altro uomo dello Stato di poche parole e di molti valori, abbia voluto consegnargli questa medaglia al valore Civile come simbolica risposta a un’antimafia delle chiacchiere, dei convegni, delle carriere e a volte perfino dei tradimenti.

Il riconoscimento a Germanà è arrivato a un anno dall’entrata in pensione (ultimo incarico: Questore di Piacenza) e solo grazie alla richiesta avanzata – ben tre anni fa! – dall’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia che adesso, con comprensibile soddisfazione, ha commentato così la consegna della medaglia: “Il suo coraggio, l’impegno disinteressato e l’autentica passione civile che fino alla fine della carriera hanno continuato ad animarne l’operato, trovano oggi ulteriore affermazione con questo prestigioso riconoscimento”.

Germanà balzò agli onori della cronaca nel settembre del 1992. Erano passate poche settimane dai terribili attentati di Capaci e via D’Amelio dove persero la vita Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli uomini della scorta. Lui, vice questore aggiunto, fedele e fidato braccio destro di Paolo Borsellino che lo avrebbe voluto ancora con sè, era tornato a dirigere il “caldissimo” commissariato di Mazara del Vallo dopo gli incarichi alla Criminalpol: un modo come un altro – si disse e scrisse allora – per “punire” la solerzia di un poliziotto che non aveva timori reverenziali nei confronti dei potenti. Un trasferimento anomalo. E proprio lì, appena tre mesi dopo, sul lungomare Tonnarella, Rino Germanà “doveva morire” in un terribile attentato mafioso. A sparargli colpi di Kalashnikov, nel corso di un drammatico inseguimento prima in auto e poi a piedi, furono nientemeno che Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella e Matteo Messina Denaro, gli uomini più feroci agli ordini del capo dei capi Totò Riina. Germanà fu ferito alla testa ma riuscì a rispondere al fuoco, a vanificare l’agguato, e si salvò scappando a piedi sul lungomare affollato di turisti. 

La sera stessa Germanà era a Roma, “coccolato” davanti alle Tv da ministri e alti funzionari. Ma nella “guerra” tra lo Stato e la mafia non c’era più posto per lui: voglia di proteggerlo o di levarlo di mezzo? Giudicate voi, magari in silenzio, come in silenzio è rimasto per tanti Rino Germanà, per rispetto del proprio ruolo di servitore dello Stato. E uno come lui ne avrebbe avute cose da dire. E invece gli ultimi anni Germanà li ha trascorsi come Questore di Forlì e poi di Piacenza: con tutto il rispetto, come avere Messi e farlo giocare a basket.

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