Umberto Saba, Mio padre è stato per me “l’assassino”: analisi del testo

di Redazione

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Umberto Saba, Mio padre è stato per me “l’assassino”: analisi del testo

| mercoledì 22 Giugno 2016 - 09:33

Umberto Saba, Mio padre è stato per me “l’assassino”. La poesia “Mio padre è stato per me l’assassino” fa parte dei quindici sonetti autobiografici contenuti nell’opera di Saba intitolata “Autobiografia”, scritta alla fine del 1922: Saba vi racconta la propria vita fino al momento in cui intraprese la professione di libraio antiquario. In questa poesia, il cui significato è sintetizzato nel verso finale (“Eran due razze in antica tenzone”), Saba ricorda il contrasto, di cultura e di temperamento, che divise i genitori ancora prima della sua nascita: avevano due caratteri che erano legati alla diversa razza di appartenenza. Per lui la madre ricopriva il ruolo dell’autorità inflessibile e della punizione, e il padre ricopriva invece il ruolo della trasgressione, della fuga, dell’affermazione del principio del piacere.

TESTO

Mio padre è stato per me “l’assassino”;

fino ai vent’anni che l’ho conosciuto.

Allora ho visto ch’egli era un bambino,

e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto.

Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,

un sorriso, in miseria, dolce e astuto.

Andò sempre pel mondo pellegrino;

più d’una donna l’ha amato e pasciuto.

Egli era gaio e leggero; mia madre

tutti sentiva della vita i pesi.

Di mano ei gli sfuggì come un pallone.

“Non somigliare – ammoniva – a tuo padre”:

ed io più tardi in me stesso lo intesi:

Eran due razze in antica tenzone.

 

Per capire questa poesia bisogna prima fare qualche cenno biografico del poeta. La madre fu abbandonata dal marito, Ugo Edoardo Poli, prima che il figlio nascesse; e la donna descrisse sempre al poeta il proprio padre in termini durissimi, definendolo spesso “assassino”, dato che non solo aveva distrutto la famiglia ma anche le speranze della sua giovinezza. Saba era dunque cresciuto portandosi dietro quell’immagine negativa del genitore, fino a quando, all’età di vent’anni, lo conobbe e lo scoprì straordinariamente simile a se stesso, non soltanto nei tratti fisici ma anche nella volubilità dell’animo, da cui aveva ereditato il “dono” della poesia.

La struttura della poesia, semplice come gran parte della produzione di Saba, segue un procedimento simmetrico: alla figura paterna sono dedicate le due quartine, mentre nelle terzine è l’immagine materna a dominare. Ne emerge infine una contrapposizione fra due mentalità assai differenti, ma il recupero dell’immagine paterna non scalfisce la figura della madre: il poeta mostra infatti un senso di compassionevole amorevolezza verso questa donna oppressa dai “pesi” della vita ed incapace, per carattere e cultura, di comprendere la natura inquieta del compagno. Anche l’ammonizione a non assomigliare al padre, pur nella sua severità, è dettata dall’amore, tanto che Saba, comprendendone la sostanza, conclude il sonetto senza formulare accuse: è stata la diversità dei temperamenti a determinare l’inevitabile distacco. Saba sottolinea la diversità di carattere fra i due genitori e l’impossibilità della loro convivenza, lo scontro di “due razze” che egli stesso avrebbe sentito, in seguito, in lotta dentro di sé.

Saba descrive i sentimenti provati da lui stesso e da sua madre nei confronti del padre. Egli racconta di come abbia sempre avuto una pessima opinione del padre, l’”assassino”, come lo chiamava sua madre, ma poi, dopo i vent’anni, scoprì che buona parte del carattere paterno era passata a lui.

ANALISI DEL TESTO

Nel sonetto viene sottolineato il contrasto tra leggerezza paterna e pesantezza materna, attuando un rovesciamento del ruolo maschile con quello femminile: infatti per l’autore la madre ricopriva il ruolo dell’autorità inflessibile e della punizione (per solito attributo del padre) e il padre il ruolo della trasgressione, della fuga e del piacere. Mentre la madre sentiva tutti i pesi della vita, il padre è definito come un bambino, “dolce e astuto, gaio e leggero”; curioso e capace di stupirsi: tutto quanto si avvicina al “dono” della poesia proviene all’autore dal padre stesso.

A causa del suo comportamento trasgressivo, dell’abbandono della famiglia, dei molti viaggi e delle tante donne avute, la moglie si riferiva al marito con l’appellativo di “assassino” e incitava l’autore a non diventare come il padre (in tal modo veniva delineato un modello pedagogico negativo). Infine “eran due razze in antica tenzone” spiega la conflittualità nel rapporto tra madre e padre, ulteriormente complicato dalla diversa appartenenza religiosa: la madre ebraica e il padre cristiano. E quella conflittualità il poeta la rivive in prima persona, tra le due anime che convivono dentro di sé.

(Fonte liceocuneo.it)

 

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