Dalla Siria al Sud Sudan, quanti focolai di conflitto

di Giuseppe Citrolo

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Dalla Siria al Sud Sudan, quanti focolai di conflitto

| venerdì 10 Febbraio 2017 - 10:26

Viviamo probabilmente il momento di maggiore instabilità internazionale da decenni. La politica estera di Donald Trump è per molti versi ancora un’incognita e succede alla linea largamente non interventista di Obama. L’Europa è afflitta da una profonda crisi politica e istituzionale: minacciata dal terrorismo, non riesce a governare il flusso dei migranti. E intanto si rafforzano i populismi nazionalisti. L’ordine economico-politico liberale a trazione militare e diplomatica americana è quindi messo in discussione per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale. Si moltiplicano intanto sul nostro pianeta i focolai di conflitto e le zone destabilizzate. Eccone dieci da osservare con attenzione in questo 2017.

1) SIRIA E IRAQ: Sono due Stati che di fatto non esistono più. La guerra civile irachena non si è mai interrotta dall’invasione americana del 2003. In Siria si combatte dal marzo 2011 e undici milioni fra rifugiati e sfollati hanno lasciato le loro case. I rispettivi governi controllano parti limitate dei loro paesi; il resto è in mano a gruppi criminali, milizie curde e jihadisti dell’Isis. Russia, Stati Uniti, Iran e Turchia sono profondamente implicati in questi conflitti, con un rischio di ulteriore escalation.

2) La guerra in Yemen ha creato una catastrofe umanitaria nel paese più povero del mondo arabo; milioni di yemeniti sono alla fame e continuano i raid aerei della coalizione a guida saudita che combatte i ribelli sciiti Houthi sostenuti dall’Iran. Nel frattempo Al Qaeda prospera nel caos yemenita ed ha solide basi per colpire nella penisola arabica.

3) La TURCHIA vive un momento delicatissimo: attacchi terroristici dell’Isis e guerra civile con i curdi del pkk destabilizzano il paese ed il crescente autoritarismo di Erdogan. Nel sud-est, circa 350.000 civili sono sfollati a seguito del conflitto fra l’esercito di Ankara e le milizie curde. All’estero, Ankara fa un gioco pericoloso, tra alleanze con i paesi occidentali ed avvicinamento a Mosca e Teheran.

4) Dopo quasi tre anni di guerra in UCRAINA, la RUSSIA potrebbe essere vicina a raggiungere i propri obiettivi nel conflitto ucraino: la normalizzazione dell’annessione della Crimea ed il mantenimento di aree politiche autonome filo-russe nell’est ucraino. Trump potrebbe avallare lo status quo, per raggiungere un compromesso col suo omologo del Cremlino.

5) Ad oltre 15 anni dall’attacco americano che ha spodestato il regime dei taliban, l’AFGHANISTAN resta un paese profondamente instabile e una seria minaccia per la sicurezza internazionale. I talebani hanno guadagnato terreno nel sud del paese nel 2016 e fatto attentati di alto profilo a Kabul, in basi Nato e dell’esercito afghano. I servizi segreti del vicino Pakistan continuano ad interferire nella politica interna afghana e a dare sostegno logistico ed economico ai talebani. Anche l’Isis è ormai attivo nel paese, con attacchi contro i luoghi sacri della minoranza sciita.

6) La BIRMANIA affronta le ribellioni armate di alcune minoranze etniche da 70 anni. Nel novembre 2016, dei gruppi ribelli hanno attaccato a più riprese obiettivi militari ai confini con la Cina. Nel frattempo ai confini col Bangladesh continua la brutale repressione della minoranza musulmana dei Rohingya, nel silenzio del premio nobel Aung Aan Suu Kyi .

7) In MESSICO il narcotraffico ha fatto 34.000 vittime l’anno scorso. Un problema enorme per il presidente Pena Nieto, eletto presidente con un’agenda di ambiziose riforme economiche ed anti-corruzione. Le  tensioni con l’amministrazione Trump potrebbero indebolire la sua posizione. Se Trump attuerà anche solo in parte le sue promesse elettorali – il muro, la deportazioni degli immigrati illegali, lo stop agli accordi commerciali del NAFTA-  c’è il forte rischio dell’ascesa dei populisti messicani di sinistra ammiratori del Venezuela e anti-statunitensi, che destabilizzerebbe la scena politica messicana.

8) Nel SAHEL e nel BACINO DEL LAGO CIAD, in Africa centro-settentrionale, oltre 4 milioni di persone hanno dovuto sfuggire a violenze e combattimenti. Il nord del Mali rimane ancora in mano a jihadisti e bande  criminali, nonostante una missione dei caschi blu dell’Onu. Nel nord della Nigeria Boko Haram continua ad imperversare con sanguinosi attentati, malgrado i proclami dei politici nigeriani sulla sua imminente sconfitta.

9) Nella REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO il presidente Joseph Kabila rifiuta di lasciare, malgrado la fine del mandato. La chiesa cattolica locale è riuscita a trovare un fragile accordo fra Kabila e i suoi oppositori, ma la situazione rimane tesa perchè il presidente avrebbe accettato elezioni politiche entro la fine del 2017, senza però una data certa. Nel 2016, molti sono morti in scontri fra esercito e manifestanti e gli osservatori temono che anche quest’anno possa scorrere altro sangue.

10) Il SUD SUDAN, nato nel 2011, dal 2014 è martoriato dalla guerra civile fra milizie di gruppi etnici rivali. In 3 milioni sono fuggiti dalle loro case. Gli sviluppi dipenderanno dalla volontà politica del presidente Salva Kiir di negoziare con i gruppi armati e dal successo della forza di peace keeping proposta dall’Unione Africana: 4000 uomini schierati nel paese per riportarvi condizioni minime di sicurezza.

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