L’Ue fra crisi, Brexit e doppia velocità | Ecco i numeri che allarmano la coalizione

di Giuseppe Citrolo

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L’Ue fra crisi, Brexit e doppia velocità | Ecco i numeri che allarmano la coalizione

| martedì 21 Marzo 2017 - 15:02

Dal 2011 l’Unione Europea vive una drammatica situazione di crisi, al contempo economica e politica. Quella che è nata come crisi debitoria di alcuni paesi periferici, quali Grecia e Portogallo, si è allargata a partire dal 2015 alle sfere della sicurezza e dell’immigrazione, con l’esplodere del terrorismo in Francia e l’arrivo di milioni di rifugiati mediorientali e africani sul suolo europeo; il culmine si è raggiunto con la Brexit del giugno 2016, quando in seguito ad un referendum popolare il Regno Unito ha deciso di lasciare l’Unione, trauma senza precedenti per Bruxelles.

In un’intervista rilasciata a gennaio 2017 al quotidiano britannico Times, il neo presidente americano Donald Trump parlava in questi termini della UE: “L’Unione Europea è la Germania. Per questo il Regno Unito ha fatto bene a uscire”. Al di là del suo tono volutamente provocatorio, Trump coglie un punto fondamentale: oggi, sia per la propria taglia economica e demografica che per le debolezze di altri grandi paesi europei come Francia e Italia, il paese guidato da Angela Merkel si trova ad esercitare un ruolo guida in Europa. E’ una situazione totalmente inedita per i tedeschi, che dopo la sconfitta del 1945 sono stati oggetto di scelte geopolitiche altrui, messi sotto tutela da Stati Uniti e Unione Sovietica, disabituati a pensare in termini strategici.

In questa Germania, retta dal 2013 da una grande coalizione fra social – democratici e CDU, il 24 settembre si terranno le elezioni politiche. Fino a qualche settimana fa si dava per scontata una vittoria della CDU, e dunque un probabile nuovo mandato da cancelliera per Angela Merkel. Secondo gli ultimi sondaggi però il candidato socialdemocratico alla cancelleria Martin Schulz, ex presidente del Parlamento Europeo, avrebbe ora un leggero vantaggio sui cristiano – democratici. In ogni caso, l’ipotesi più probabile è che dopo il voto di settembre si formi una nuova grande coalizione fra CDU e SPD, magari a guida socialdemocratica, che non cambierebbe più di tanto le politiche economiche tedesche, improntate all’austerità e al rigore contabile.

Intanto, nella lontana Grecia continua un dramma economico, sociale e politico. La disoccupazione è al 25%, il 15% dei greci vive sotto la soglia di povertà, l’economia si è contratta del 30% rispetto al 2010, il governo di Alexis Tsipras è di fatto sotto commissariamento internazionale. In un rapporto del febbraio 2017 il Fondo Monetario Internazionale ha dichiarato ”insostenibile” il debito greco, pari oggi al 179% del PIL del paese. L’unico modo per evitare il default del debito greco sarebbe la sua comunitarizzazione: i famosi Eurobond che Berlino non pare avere alcuna intenzione di accettare.

Difficile anche la situazione economica dell’Italia, paese di ben altra importanza rispetto alla Grecia, capace se entrasse in crisi di trascinare a fondo l’intera Unione Europea. Secondo un documento di febbraio della Commissione Europea, l’economia italiana crescerà nel corso del 2017 solo dello 0,9%, meno della metà della media europea. Per quanto riguarda il debito pubblico di Roma, esso è ormai pari al 133% del PIL. Gravi anche le sofferenze bancarie: dei 1.061 miliardi di crediti deteriorati della zona euro oltre un quarto sono italiani.

L’Euro resta una costruzione incompleta, una moneta con tanti sovrani che sono paesi con strutture economiche, sociali e politiche ben diverse fra loro. L’Unione Bancaria resta solo un abbozzo. Mario Draghi salvò la moneta unica dalla disgregazione nel luglio 2012 usando l’espressione”Whatever it takes” di fronte a una platea di investitori londinesi. Il 3 febbraio, a Malta, Angela Merkel ha parlato di “un’Europa a più velocità” come possibile soluzione drastica ai mali dell’Unione: un nucleo centrale di paesi, cioè, andrebbe avanti verso una maggiore integrazione intrattenendo rapporti differenziati con il resto del continente.

Qualunque cosa si decida, bisogna che i leader europei agiscano in fretta, prima che il combinato disposto di Brexit, crisi economica, immigrazione incontrollata e terrorismo faccia collassare un’architettura istituzionale che ha assicurato decenni di pace a centinaia di milioni di persone.

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