Omicidio Agostino, perquisizioni a casa di Bruno Contrada

di Redazione

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Omicidio Agostino, perquisizioni a casa di Bruno Contrada

| venerdì 29 Giugno 2018 - 13:49

Colpo di scena nelle indagini sull’omicidio dell’agente Nino Agostino, ucciso insieme alla moglie a Villagrazia di Carini nel 1989. La Procura Generale di Palermo ha disposto una perquisizione a casa dell’ex numero due del Sisde Bruno Contrada avocando l’inchiesta sul delitto dopo la richiesta di archiviazione presentata dai pm del capoluogo.

Per l’omicidio sono iscritti nel registro degli indagati i boss Antonino Madonia e Gaetano Scotto. Del fascicolo sono titolari il procuratore generale Roberto Scarpinato e i sostituti Domenico Gozzo e Umberto De Giglio. Nei giorni scorsi i magistrati avevano disposto accertamenti su una calibro 38 trovata in un arsenale della mafia in contrada Giambascio, a San Giuseppe Jato, nel 1996.

Omicidio Agostino, perquisita la casa di Contrada

Tra fucili, mitragliatori, munizioni, mine anticarro e congegni elettrici del boss Giovanni Brusca venne sequestrata una pistola che ha attirato l’interesse degli inquirenti. L’arma, che i boss hanno cercato di alterare e che è stata danneggiata, verrà esaminata dai consulenti della Procura generale, da quelli dei due indagati per il delitto, e dal perito del gip. Gli accertamenti, che dovranno valutare se c’è compatibilità tra la calibro 38 ritrovata e la pistola usata dai killer, verranno svolti nel corso di un incidente probatorio il 18 luglio. 

È una persecuzione giudiziaria che va avanti da anni. Attendiamo che finisca, ma è evidente che a un anno dalla sentenza della Cassazione, che ha revocato la condanna di Contrada, qualcuno ha dimenticato che il mio assistito è e rimane un uomo innocente e incensurato”, commenta l’avvocato Stefano Giordano dell’ex numero due del Sisde. Contrada venne condannato per concorso in associazione mafiosa a dieci anni. Dopo un tentativo di revisione dichiarato inammissibile, si è rivolto alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. Tre anni fa i giudici hanno condannato l’Italia a risarcire il funzionario, nel frattempo radiato dalla polizia, sostenendo che non andava processato né condannato.

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