L’infermiera che salvò il neonato abbandonato a Rovigo: “Ti terrei con me ma…”

di Redazione

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L’infermiera che salvò il neonato abbandonato a Rovigo: “Ti terrei con me ma…”

| venerdì 26 Aprile 2019 - 10:29

Si chiama Giorgia Cavallaro e ha 35 anni. E’ l’infermiera che salvò il neonato abbandonato a Rovigo. Gli ha tagliato il cordone ombelicale e lo ha tenuto stretto tra le sue braccia nella corsa disperata dell’ambulanza verso l’ospedale di Rovigo.

Il bimbo trovato al cimitero di Rosolina Mare adesso porta il suo nome, Giorgio. L’infermiera dell’equipe del 118 intervenuta nei soccorsi, ha inviato al Corriere del Veneto una lettera rivolta al piccolo. “Non ho chiuso occhio pensando a te, – scrive, – spero che leggerai queste parole, sono il racconto del tuo primo giorno di vita e del perché porti il mio nome“. “Ti terrei con me, – aggiunge, – ma so che sarai forte e spero di rivederti in futuro”.

La storia del piccolo Giorgio

Giorgio è stato trovato in un cassonetto nei pressi del cimitero di Rosolina Mare, Rovigo. Il neonato era all’interno di una borsa e piangeva. Fortunatamente all’alba, qualcuno passando da lì ha sentito i suoi vagiti e ha chiamato i soccorsi. All’arrivo dei sanitari, il piccolo Giorno era in condizioni critiche. Nel pomeriggio, però, il quadro clinico è migliorato.

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Quando è giunto all’ospedale di Rovigo, Giorgio era in condizioni di ipotermia, segno che aveva trascorso diverse ore prima di essere avvistato. Al bimbo è stato dato il nome Giorgio, come l’infermiera che per prima l’ha soccorso in ospedale. Pesa quasi tre chili ed è lungo 47 centimetri.

La lettera dell’infermiera a neonato abbandonato a Rovigo

“Caro Giorgio – scrive l’infermiera al Corriere del Veneto -, l’altra notte non ho chiuso occhio pensando a te. Mi piacerebbe che un giorno lontano, quando sarai grande, qualcuno possa farti leggere questa lettera. Magari le stesse persone, la tua nuova mamma e il tuo nuovo papà, che nel frattempo avranno trovato le parole giuste per rivelarti com’è cominciata la tua vita con loro, circondato dall’amore che meriti e che qualcuno aveva deciso che non dovevi avere. Io posso solo raccontarti in che modo sei entrato nella mia, di vita, perché già so che non ne uscirai mai più.E’ la storia del tuo primo giorno, che poi è anche la storia del nome che porti. Il mio nome. Ho 35 anni e lavoro come infermiera nel Pronto soccorso della Casa di cura Madonna della Salute, di Porto Viro. Sembrava una mattina come tutte le altre, scandita da piccole e grandi emergenze. Poi è arrivata quella telefonata: «C’è un bambino abbandonato davanti al cimitero di Rosolina, non si muove, è morto». Sull’ambulanza siamo salite io e la dottoressa Anna Tarabini, mentre alla guida c’era Marco Marangon, che è partito a razzo. Dopo pochissimo è arrivata una seconda chiamata: «Il neonato piange». È lì che abbiamo saputo che eri vivo”.

La corsa contro il tempo

“Marco pareva un pilota di Formula 1 – continua Giorgia -, è stato formidabile: appena sei minuti dopo la prima telefonata eravamo di fronte al cimitero, con i carabinieri che nel frattempo avevano aperto quella sacca da tennis rossa. Ti avevano rinchiuso lì dentro, adagiandoti sopra una copertina bianca. La dottoressa ti ha portato nell’ambulanza e ti ha visitato. L’indice di Apgar, che misura i parametri vitali, ci ha detto che stavi bene: è lì che ho capito quanta forza possa starci in un corpicino così piccolo. Seguendo le indicazioni della dottoressa, che per prima si è presa cura di te, ti ho tagliato il cordone ombelicale. Avevi i piedini e le manine gelate, abbiamo alzato il riscaldamento al massimo. Mentre Marco ripartiva ti ho preso in braccio e ti ho posato al mio petto coprendoti con il lenzuolino sterile, una coperta, la mia maglietta, con qualunque cosa potesse restituirti un po’ di calore”.

Il risveglio del piccolo tra le braccia di Giorgia

Il suono delle sirene ti ha dato uno scrollone – racconta l’infermiera sul Corriere del Veneto-, ti sei messo a piangere. È lì che hai aperto gli occhi, mi hai guardata, ti ho fatto una carezza e immediatamente hai cercato di succhiare il dito. Avevi tanta fame. In dodici anni di servizio, non avevo mai provato delle emozioni così intense. Mentre ti scrivo, sei in ospedale dove hanno scelto di darti il mio nome. Le colleghe dicono che stai bene, che hai mangiato, che ce la farai a diventare grande, a dispetto di chi non voleva. Ho riflettuto su cosa possa spingere qualcuno ad abbandonare un neonato e non ho trovato risposta. Ma in fondo, l’unica cosa che conta è che presto avrai una mamma e un papà che ti vorranno bene. Ho anche pensato che quella mamma vorrei essere io, che non ho figli. Purtroppo so che non sarà possibile: l’iter per le adozioni è lungo e complicato e c’è qualcuno che ti sta aspettando da molto più tempo di me. Lo dimostrano le chiamate che sto ricevendo: persone che vogliono accoglierti, altre che si offrono di acquistare abiti e latte in polvere”.

“Spero di incontrarti di nuovo”

“E allora, posso solo sperare di incontrarti di nuovo, in futuro. Sarebbe bello vedere come sei diventato. Ti auguro di essere felice. Di crescere sano, di conservare la forza che hai dimostrato di fronte a quel cimitero che dovrebbe servire a contenere i morti e che invece ci ha restituito una vita. Ma soprattutto, ti auguro di diventare un uomo con dei valori positivi, uno disposto a qualunque sacrificio per proteggere il proprio bambino.

Ciao Giorgio”.

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