Stato-mafia, la deposizione di Napolitano | “Le bombe del ’93 per destabilizzare il Paese”

di Redazione

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Stato-mafia, la deposizione di Napolitano | “Le bombe del ’93 per destabilizzare il Paese”

| venerdì 31 Ottobre 2014 - 13:40

La Corte d’Assise di Palermo ha depositato le trascrizioni del verbale dell’udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia in cui ha deposto il capo dello Stato Giorgio Napolitano. In tutto si tratta di 86 pagine. Da questo momento le trascrizioni sono disponibili per accusa e difese.

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Terminata l’audizione, il Quirinale in una nota aveva auspicato una celere trascrizione integrale di quanto detto da Napolitano, perché l’opinione pubblica fosse informata il prima possibile. Per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano le stragi mafiose del ’93 “si susseguirono secondo una logica unica e incalzante per mettere i pubblici poteri di fronte a degli aut aut, perché potessero avere per sbocco una richiesta di alleggerimento delle misure di custodia in carcere dei mafiosi”.

Deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia, Napolitano ha riportato la percezione che le istituzioni ebbero dopo le bombe mafiose del 1993 a Roma, Firenze e Milano, sostenendo che l’impressione fosse che “si trattava di nuovi sussulti di una strategia stragista dell’ala più aggressiva della mafia, si parlava allora in modo particolare dei Corleonesi”. “Comunque – ha aggiunto – non ci fu assolutamente una sottovalutazione. C’era molta vigilanza, molta sensibilità e molta consapevolezza della gravità di questi fatti”.

Con le bombe del ’93 ci fu un ricatto della mafia? “Ricatto o addirittura pressione a scopo destabilizzante di tutto il sistema”. Così Napolitano rispondendo al pm Di Matteo. L’aut-aut poteva “avere per sbocco la destabilizzazione politico-istituzionale del paese”. “Probabilmente presumendo che ci fossero reazioni di sbandamento delle Autorità dello Stato”. “Quando il presidente del Consiglio (Ciampi – ndr) dice ‘abbiamo rischiato un colpo di Stato’ se non c’è allora fibrillazione vuol dire che il corpo non risponde a nessuno stimolo”. Così il capo dello Stato, rispondendo alle domande del pm sulle fibrillazioni istituzionali seguite alle stragi del ’93. Napolitano ha ricordato il blackout a Palazzo Chigi, ad agosto, definendolo “un classico ingrediente di colpo di Stato”.

Per Napolitano il suo ex consigliere giuridico Loris D’Ambrosio era “animato da spirito di verità”. Lo si legge nella prima parte della deposizione. Con D’Ambrosio “eravamo una squadra di lavoro”, ha aggiunto Napolitano.

“D’Ambrosio non mi preannunciò né la lettera, né le dimissioni. Era preso da questa vicenda, era anche un po’ assillato da queste telefonate, punto e basta”. Così il presidente della Repubblica, rispondendo alla domanda sulla lettera ricevuta dall’ex consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, in cui questi preannunciava le sue dimissioni. Napolitano descrive un D’Ambrosio “insofferente” dopo “la pubblicazione delle sue telefonate con Mancino”.

“In quella lettera c’era un dato di vera e propria esasperazione, era un uomo profondamente scosso, amareggiato perché vedeva mettere in dubbio la sua lealtà di servitore dello Stato. Era una lettera di uomo sconvolto, scritta d’impulso, con l’obiettivo di dimettersi e però sapendo che oramai era dentro un certo tipo di movimento di opinione, chiamiamolo così, o comunque di campagna giornalistica che lo stava ferendo a morte”, ha sottolineato il presidente della Repubblica.

E in merito alla ricostruzione dei rapporti con l’ex consigliere giuridico: “Io non ho mai conosciuto il dottor D’Ambrosio fino al 1996, non ho mai avuto occasione di incontrarlo, di conoscere, né per la verità ho avuto occasione di sentirne parlare, sia pure attraverso persone che lo conoscessero bene e che conoscessero bene me”.

“Debbo dare, se può interessare alla Corte, signor Presidente, un certo peso al fatto che – aggiunge il capo dello Stato – nel corso della mia lunga attività parlamentare, ho detto che ero alla settima legislatura nel 1987, i miei interessi si erano sempre concentrati su due filoni tematici: Economia e Mezzogiorno da un lato e Affari Esteri, Politica Internazionale dall’altro. Io dal 1953 avevo sempre fatto parte o della Commissione Finanza e Tesoro o della Commissione Bilancio e Partecipazione Statali, mai della Commissione Affari Interni, mai della Speciale Commissione Parlamentare Bicamerale Antimafia”.

“Come accade in un grande gruppo politico, c’è naturalmente una divisione del lavoro – ha aggiunto Napolitano – che tiene anche conto delle propensioni, delle competenze, e le mie propensioni e competenze non mi avevano mai portato a contatto con l’attività tutt’altra del Dottor D’Ambrosio. Lo conobbi – aggiunge Napolitano sempre parlando di D’Ambrosio – dopo essere diventato Ministro degli Interni del primo Governo Prodi, nel maggio del 1996, un po’ dopo lo conobbi, in quanto come sempre il Ministro dell’Interno ha rapporti di collaborazione anche… Di collaborazione stretta nel senso che possono prendere insieme l’iniziativa di determinati Disegni di Legge. Ministro della Giustizia Flick, e fu sicuramente il Professor Flick che mi presentò il dottor D’Ambrosio, non saprei dire in quale mese del 96 o del 97, comunque comincia solo allora il mio rapporto di conoscenza con il dottor D’Ambrosio”.

“Non ho mai avuto un colloquio con il Generale Mori, mai”, ha detto ancora Napolitano. “Subranni – afferma il Capo dello Stato – non ricordo di averlo mai conosciuto e il Generale Mori o Colonnello Mori l’ho conosciuto di sicuro soltanto ai margini di cerimonie a cui io partecipavo nell’esercizio di varie mie funzioni e lui egualmente partecipava”.

Fu l’allora presidente della commissione Antimafia, Luciano Violante, a informare il capo dello Stato Giorgio Napolitano, all’epoca presidente della Camera, che il mafioso Vito Ciancimino voleva essere ascoltato dalla commissione Antimafia. “Può anche avermene parlato – ha risposto Napolitano – ma non perché io mi pronunciassi”.

“L’analisi secondo la quale c’erano tendenze contrapposte in seno alla mafia ha formato oggetto della pubblicistica italiana in quegli anni. C’era molto probabilmente una spaccatura, ma questo lo si capiva senza bisogno di essere politologi, scienziati della politica o sapienti giuristi come Conso”. Ha affermato ancora il capo dello Stato.

 

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